Sandy, non solo NY: a tre anni dal terremoto, il ciclone si abbatte sull’isola di Haiti

Non sono passati nemmeno tre anni dal devastante terremoto che colpì con conseguenze drammatiche il piccolo Stato di Haiti: più di 200mila vittime e il “coinvolgimento” di quasi la totalità della popolazione nel computo finale dei danni, con circa 3 milioni di persone chiamate a fare i conti con l’orrore della distruzione.

Nei giorni del recente passato, precedenti a quelli del grande impatto mediatico, l’uragano Sandy, che ha tenuto dapprima in ostaggio la metropoli di New York salvo poi colpirla duramente, apportando ingenti danni, peraltro, in tutto il nord est degli Stati Uniti, prima di raggiungere le coste americane, si era abbattuto con violenza sul lembo di terra caraibico.

E, ancora una volta, ad andarci di mezzo, è stata Haiti: vittime, dispersi, case divelte, strade rigonfie d’acqua e poi scoppiate. Un colpo di grazia, ai danni di un Paese già in ginocchio, e per giunta nell’incuranza dei media. Si parla di circa mezzo metro d’acqua precipitato nell’arco di una mezza giornata. Sarebbero circa 400mila gli sfollati, dimenticati non soltanto dalla stampa internazionale, ma anche dalla politica e dal sistema di gestione delle emergenze, fermo e assolutamente inabile a qualsiasi dinamica risolutiva.

Il risultato? Una nuova sciagura, una tragedia che, partendo dalla devastazione (certamente incontrastabile) della natura, come un’onda anomala si è fatta sempre più grande, a causa dell’isolamento della popolazione, abbandonata nelle mani di un gruppo dirigente corrotto: circa 70 le vittime, numero destinato ad aumentare, la maggior parte tutte ad Haiti e la restante parte, ad ora 16, sull’isola di Cuba, per un totale di circa 200mila abitazioni distrutte nella zona di Santiago de Cuba. Il passaggio di Sandy ha devastato anche i campi coltivati giamaicani, per i quali si parla di irreversibilità dei danni.

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Si aggiungano i feriti e i dispersi. Facile immaginare le battute prossime di questo ennesimo disastro: emergenze alimentari, diffusione di malattie epidemiche, esplosione di nuove questioni sociali legate a povertà indotta, con la relativa soglia che si abbasserà ulteriormente. Ad esprimere e a “raccontare” i dubbi e le paure legate al passaggio dell’uragano, è Valeria Taurino, capo missione della Ong Terres des Hommes, raggiunta telefonicamente da Repubblica.

Sul posto, è impegnata nel coordinamento dei progetti di rinserimento dei minori. “Ai timori per una possibile nuova emergenza alimentare – ha spiegato al missionaria –  si aggiungono quelli di una recrudescenza del colera, scoppiato ad Haiti qualche mese dopo il terremoto del 2010. Più di 7500 persone sono già morte, ed ogni settimana si registrano centinaia di nuovi casi”.

Inoltre, si apprende dalle denunce degli operatori umanitari,  continui cataclismi stanno duramente colpendo la stabilità del suolo haitiano. Si registrano, in più punti, continue frane: crollano le strade, aprendosi a causa della rapida diffusione di fratture nel sottosuolo, vengono giù le case, si riversano i liquidi della fogna lungo le vie abitate. La gente si abbandona sul ciglio della strada, sui rigoli a cielo aperto.

E in attesa del ripristino della rete fognaria, della ristrutturazione (almeno sommaria) delle principali infrastrutture, dell’intervento per arginare i danni ingenti subiti della piccola nazione caraibica, lo Stato  ha deciso di “non operare”, anche nella conta di danni e vittime, almeno sino a quando i fiumi in piena non torneranno entro i limiti di guardia.

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Gli unici che continuano indefessamente a lavorare sul territorio sono le Ong. E non soltanto Terres des Hommes,  ma anche Medici Senza Frontiere, che con i suoi reparti di cura mobili, i Centri per il Trattamento, monitora la situazione in quello che, essendo lo Stato più povero dell’America, non ha mai smesso di essere anche il più colpito e il più solo.

Emilio Garofalo


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