di Luca Ortello
Célestine è una topolina che vive nel sottosuolo assieme alla sua numerosa comunità di simili; l’unica attività di cui tutti si occupano è quella odontoiatrica: ogni roditore deve diventare dentista per il bene della collettività, e non sono ammesse eccezioni. Célestine ama disegnare, ma sa bene che non potrà mai realizzare il suo sogno; una notte, la topolina si reca nel mondo degli orsi per rubare dei dentini, e si imbatte casualmente nello scorbutico Ernest, un artista di strada fallito e perennemente affamato. Fra i due nasce ben presto una profonda amicizia “clandestina”; ma quando le rispettive comunità scoprono l’illecita frequentazione, Ernest e Célestine verranno perseguitati e dovranno persino affrontare un processo che li vedrà come imputati.
Ernest & Célestine, tratto dai libri illustrati dell’artista francese Gabrielle Vincent e scritto per il grande schermo da Daniel Pennac, non è solo un delizioso film d’animazione adatto a tutte le età, ma è anche un’opera fortemente critica e polemica verso il ruolo opprimente e coercitivo esercitato dalle istituzioni: sia Ernest che Célestine, infatti, sono obbligati dai loro simili a svolgere due professioni (rispettivamente, giudice e dentista) che non si confanno alle loro aspirazioni, e non è un caso che i due protagonisti scelgano l’arte quale strumento di “protesta” e di affermazione spirituale (Célestine disegna, mentre Ernest è un cantastorie). L’arte, quindi, intesa sia come mezzo contestatario di emancipazione individuale che come puro atto di creatività ed evasione da un mondo smisuratamente calcolatore e razionalistico. Le norme vigenti nelle comunità dei topi e degli orsi sono rigide e univoche, non sono ammesse obiezioni di nessun genere, e tutto ciò che non rientra nell’ordinario è considerato come una potenziale minaccia che rischia di sovvertire l’ordine prestabilito che tutela il quieto vivere reciproco.
Per questi motivi, tanto la società quanto le istituzioni tendono a reprimere e a manipolare gli individui, le loro inclinazioni e le loro attitudini, nell’ignobile tentativo di omologarli per farli sentire parte “normale” (aggettivo di cui dovremmo aborrire) della comunità. Solo l’arte, sembra volerci suggerire il film, riesce a scardinare questo attentato disumanizzante contro la persona e le sue autentiche vocazioni.
Ernest e Célestine finiscono entrambi nei guai quando non vengono accettati per quello che sono: la topolina è costretta dal topo-medico a rubare dei denti in un negozio, mentre Ernest, per non morire di fame, è obbligato a saccheggiare un negozio di dolciumi; se le rispettive comunità avessero compreso e accettato le loro naturali inclinazioni, non li avrebbero mai trasformati in criminali inducendoli a compiere azioni contrarie alla loro morale: per compiacere le aspettative degli altri e per non sentirsi degli emarginati, Ernest e Célestine hanno rinnegato se stessi ed i loro principî, e questa è la prima grande ingiustizia che i due protagonisti subiscono durante il film.
Successivamente, Célestine è catturata dagli orso-poliziotti e imputata di aver svaligiato il negozio di denti, mentre Ernest è rinchiuso nella prigione dei topi e accusato di essersi infiltrato nel sottosuolo seminando il panico fra i roditori. Durante il processo, mentre i due imputati sono attaccati duramente dai giudici, scoppia un incendio che si propaga nei due tribunali, e i giudici (incarnazione delle istituzioni), accecati come sono dal pregiudizio, non si accorgono nemmeno delle fiamme che li stanno divorando; solo l’intervento dei due imputati salverà loro la vita.
Altra tematica ricorrente nel film è l’intolleranza verso l’altro: la nutrice di Célestine, La Grigia, racconta ogni notte ai topolini la fiaba del “Grande Orso Cattivo” che mangia i topini: non è difficile riconoscere un’allusione chiaramente xenofoba, in cui si tende a demonizzare tutto ciò che non si conosce e che appare estraneo alla propria cultura/modo di pensare.
Le tematiche del film sono esposte tramite uno stile bidimensionale acquerellato e poco definito, quasi abbozzato, che ricorda molto la grafica di Art Spiegelman, del primo Hayao Miyazaki e della bande dessinée franco-belga; in un’epoca come la nostra, dominata dai film in computer animation stereoscopici, un’opera come Ernest & Célestine rappresenta un piccolo gioiello, nonché la testimonianza che per realizzare film di altissima qualità tanto estetica quanto contenutistica possono bastare pochi tratti di contorno e qualche “pennellata” digitale con effetto acquerello, senza appellarsi alla maestria tecnica dei grafici Pixar, Blue Skye o DreamWorks Animation.
La voce di Célestine è di Alba Rohrwacher, mentre la voce di Ernest è di Claudio Bisio.
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