Scrivere di Calcutta, di Madre Teresa e del Centro da lei fondato potrebbe essere una facile trappola per cadere nel banale, nel buonismo e nella retorica. Eppure in Gli angeli di Calcutta (ed. Polaris) Paola Pedrini, giornalista e viaggiatrice, riesce a mantenere l’attenzione del lettore sempre viva, puntando su uno degli aspetti più interessanti del volontariato: gli intrecci, le insicurezze e le prospettive di chi decider di mettersi a servizio del prossimo.
Dopo La mia India, Paola Pedrini ci regala un diario che è una mistura di sapori, odori e suoni: del caos vitale del mercato, del silenzio assordante di donne violate con l’acido, dei lettini vuoti lasciati dai malati terminali del centro. Ma allo stesso tempo è un viaggio introspettivo dentro le vite dei volontari, degli angeli, che con il loro entusiasmo, costellato di errori e piccoli successi quotidiani, di stanchezza e di vigore, contribuiscono al lavoro di medici e infermieri.
Conosciamo così Hanna, una ventiduenne punk svizzera che ritrova la fede; Alicya, una web designer messicana che riempie di sorrisi coinvolgenti i pazienti pur non parlando affatto bene l’inglese; il bel Martino, occhi azzurri e labbra carnose, in costante pellegrinaggio alla ricerca di se stesso che, per dirla alla Mc Candless, capisce che la felicità è reale solo quando è condivisa.
Credenti e atei, gente allegra e gente che fugge: tutti accomunati dall’essere di fronte al mistero della sofferenza che, seppur non avrà mai risposte, porta a vivere la spiritualità con una nuova consapevolezza e a mettere in discussione tutti gli affanni, inutili, della quotidianità occidentale. Si impara così che anche tra le corsie di Prem Dan, mentre si cambiano le lenzuola e le traverse dell’incontinenza, si può ballare, scopa in mano, al ritmo coinvolgente delle musiche indiane.
Cosa rimane nel cuore dei volontari? “Un movimento quasi impercettibile, ma indelebile”.
Joshua Evangelista
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