La risoluzione Onu contro le mutilazioni genitali femminili

Ben 110 paesi si sono detti favorevoli all’adozione di una risoluzione contro le mutilazioni genitali femminili. Se n’è occupato il III Comitato dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, che opera nell’ambito delle questioni sociali, umanitarie e diritti umani.

A dicembre il voto finale che appare scontato. Pur non vincolante la decisione avrebbe di fatto una valenza morale e politica.

Il messaggio è lanciato: basta con queste pratiche, presenti in molte zone dell’Africa ma non solo e l’appello viene tra l’altro promosso da quasi tutti i paesi interessati dal problema. Le mutilazioni genitali femminili rientrerebbero così nell’ambito delle violazioni dei diritti umani.

La finalità è soprattutto rendere consapevoli le donne e proteggerle attraverso campagne formative ed educative che portino alla graduale fine di queste tradizioni. La pratica delle mutilazioni genitali femminili è presente in 28 paesi africani, oltre allo Yemen, Iraq, Malesia, Indonesia ed in alcune comunità dell’America meridionale.

Si stima che tra  130 ed i 150 milioni, le donne che sono state costrette a subire le mutilazioni genitali. Moltissime le bambine a rischio ogni anno, circa tre milioni, anche nei paesi d’emigrazione dei rispettivi genitori. Anche l’Italia, che ormai da sei anni contrasta il fenomeno con una legge apposita, ha sostenuto l’iniziativa dei paesi africani che hanno fortemente voluto la risoluzione Onu.  “Il testo adottato oggi conferma il pieno impegno della comunità internazionale e darà nuovo impulso agli sforzi portati avanti contro le mutilazioni genitali femminili”, ha detto l’ambasciatore Cesare Maria Ragaglini, rappresentante permanente al Palazzo di Vetro.

Il Codice penale italiano prevede pene severe per tutti colori che applicano pratiche finalizzate a menomare le funzioni sessuali quali: la clitoridectomia, l’escissione e l’infibulazione e qualsiasi altra pratica dello stesso tipo sono punite con la reclusione da quattro a dodici anni, aumentate di un terzo se la vittima è minore o se le pratiche sono a fine di lucro. Puniti severamente i medici e le strutture, pubbliche e private che consentono le pratiche. Le norme si applicano anche al cittadino o residente in Italia che commetta il reato all’estero.

Paola Totaro

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