“Se vai in Australia ti fanno raccogliere banane”. I luoghi comuni sul ‘fruit picking’

“Guarda che in Australia che ti mettono a raccogliere la frutta”. Questa è la seconda frase che più frequentemente ho sentito ripetermi prima di partire, dopo “in Australia non puoi fare il bagno per il pericolo degli squali e delle meduse”. Beh: il bagno nell’oceano lo faccio spesso e nessuno mi obbliga a raccogliere banane da queste parti.

 

Ottava puntata del diario australiano della nostra Eleonora Dutto (scopri le altre puntate). Foto di Stefano Marai.

L’informazione errata riguardo l’argomento fruit picking nasce prima di tutto dalle numerose opportunità che il settore agricolo offre in questa immensa isola naturalistica. L’idea che i giovani immigrati siano costretti a lavorare duramente nelle fattorie, invece, è il frutto di un passaparola distorto: per tutti gli stranieri che vengono in Australia con il Working Holiday Visa è prevista la possibilità di rinnovare il visto per un ulteriore anno se svolgono tre mesi di lavoro regolarmente retribuito in una fattoria (leggi qui).

Nessuno è obbligato, ma la politica d’immigrazione australiana ha pensato bene di utilizzare le giovani risorse straniere in vacanza-lavoro in Australia a supporto del settore primario, offrendo un’interessante moneta di scambio. Il governo ha creato un ufficio specifico che si occupa del lavoro stagionale nell’agricoltura, all’interno del dipartimento educazione e lavoro: il National Harvest Labour Information Service.  Tale ente aggiorna online regolarmente le offerte di lavoro provenienti dalle fattorie australiane e pubblica ogni anno una guida dettagliata, digitale e cartacea, distribuita dalla maggior parte dei centri d’informazione. Si tratta soprattutto di lavori di raccolta della frutta, di semina e di imballaggio, talvolta anche di allevamento.

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Sulla mia strada ho incontrato Alicia e mi ha raccontato la sua esperienza in una fattoria a Waroona, vicino Perth, nell’Australia Occidentale. Ha lavorato nella raccolta dei meloni, dalle 6 di mattina alle 6 di sera, 60 ore a settimana, per 18 $ l’ora. La ricorda come un’esperienza veramente pesante ma memorabile, condivisa con giovani da ogni parte del mondo.

Un’alternativa comune e’ il wwoofing. Il termine deriva dal nome delle organizzazioni che per prime hanno proposto questa modalità di lavoro: World Wide Opportunities on Organic Farms, o Willing Workers On Organic Farms. Tale pratica si è diffusa intorno al mondo nell’ultimo decennio: si tratta di uno scambio tra datori di lavoro locali che offrono vitto ed alloggio in cambio del lavoro part-time di viaggiatori che desiderano fare un’esperienza diversa all’estero o semplicemente un viaggio a basso costo. Sono nate in rete diverse piattaforme con lo scopo di mettere in contatto turisti intraprendenti ed agricoltori locali, tra le più popolari Staydu.

Sabrina, una ragazza friulana che lavora stabilmente nel mercato in città, lo scorso anno ha sperimentato questa formula per il rinnovo del suo visto: ha lavorato per un produttore agricolo gratuitamente una volta a settimana nei mercati rionali, per il numero di giorni equivalenti ai tre mesi necessari per il rinnovo. Una soluzione veramente interessante per evitare il lavoro pesante nei campi!

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Ma in Australia il wwoofing prende spesso delle deviazioni negative come conseguenza della regola del rinnovo del visto: sbilanciando l’equilibrio di questa filosofia di scambio win-win a favore dei proprietari delle aziende agricole, molti datori hanno si fanno pagare vitto e alloggio nelle loro fattorie e pretendono ore di lavoro spropositate o magari gratuite.
Peccato…!


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