“I militari hanno iniziato a sequestrare le case dei civili per usarle come postazioni da combattimento. Tra le case sequestrate, quella di mio nonno, dove c’erano donne, bambini e mia nonna paralizzata. Tutti i civili sono stati espulsi dalle loro case in pigiama, senza poter prendere documenti, soldi o qualsiasi altra cosa. Militari e combattenti sono andati oltre: con una “lista nera”, sono andati casa per casa a cercare i loro nemici. Fra questi c’erano i nomi dei capi di famiglie cristiane. Perché?”.
È questa la dichiarazione di un giovane cristiano in una nota inviata all’Agenzia Fides, denunciando la situazione delle minoranze della società cristiana, spesso vittime indifese di una lotta tra fazioni di cui non fanno parte.
La popolazione civile della zona della Siria Orientale è stata sconvolta dal conflitto e molti si sono rifugiati nelle città di Hassakè e Kamishly.
Stando al racconto del giovane sfollato, la sua città d’origine, Ras al-Ain è stata presa d’assalto dalle truppe dell’Esercito Libero all’inizio di novembre e ancora oggi vi sono scontri tra fazioni militari curde e arabe. In una cittadina multiculturale, dove arabi, curdi, siriani, assiri e cristiani hanno sempre vissuto in pace e in armonia, adesso vige un clima di odio e di tensione.
“I cristiani – racconta ancora all’Agenzia – sono stati gli unici ad essere sfollati dalle loro case. Siamo scappati con i bambini in braccio, correndo per le strade piene di cadaveri. È stato un musulmano sunnita a salvarci da morte certa, ha garantito per noi. Mi chiedo, perché ci vogliono mettere gli uni contro gli altri?”.
Settantamila sfollati, sfuggiti alle ire dei combattenti. Milizie che hanno deciso di uccidere sulla base di criteri religiosi o, ancora più disarmante, senza alcun criterio, sacrificando innocenti per una guerra che non è nemmeno la loro. Ribelli che si professano diversi dal regime precedente e che compiono crimini davanti agli occhi di una popolazione che è stanca di perdonare.
Ilaria Bortot
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