di Fabio Polese
Qualche ora di viaggio lungo quella che viene chiamata la «strada della morte», una strada che costeggia la frontiera tra Thailandia e Birmania, e ad un tratto, mi ritrovo nella giungla dello «Karen State». Ad aspettarmi, con armi in mano e colpi inseriti, ci sono i volontari dell’Esercito di liberazione Karen (Knla) che lottano contro il governo birmano dal 1949 per mantenere la propria cultura, la propria identità e per salvaguardare e vivere nella terra dei propri Avi. Negli ultimi tempi molti media internazionali hanno parlato di un «cessate il fuoco» firmato tra i Karen e la «nuova» Birmania dell’ex generale Thein Sein. Perché siete armati? Domando. «Siamo sempre in allerta, pronti a difendere i villaggi dai possibili attacchi dei militari birmani», mi rispondono i soldati. «Sono stati avviati dei negoziati di pace – mi dicono – ma i birmani hanno dimostrato un’assoluta mancanza di volontà nel raggiungimento di un accordo che possa soddisfare le aspirazioni di autonomia del nostro popolo». La situazione non è cambiata di una virgola dall’ultima volta che sono venuto qui. I bambini giocano, le donne e gli uomini lavorano e i volontari dell’Esercito di liberazione devono difenderli, giorno e notte. Dal 2001 ad aiutare il popolo Karen c’è anche la Onlus italiana «Popoli» che ha costruito e ricostruito interi villaggi, scuole e cliniche mediche distrutte dalla repressione di Rangoon.
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[…] Qualche ora di viaggio lungo quella che viene chiamata la «strada della morte», una strada che costeggia la frontiera tra Thailandia e Birmania, e ad un tratto, mi ritrovo nella giungla dello «Karen State». Ad aspettarmi, con armi in mano e colpi inseriti, ci sono i volontari dell’Esercito di liberazione Karen (Knla) che lottano contro il governo birmano dal 1949 per mantenere la propria cultura, la propria identità e per salvaguardare e vivere nella terra dei propri Avi. Negli ultimi tempi molti media internazionali hanno parlato di un «cessate il fuoco» firmato tra i Karen e la «nuova» Birmania dell’ex generale Thein Sein. Perché siete armati? Domando. «Siamo sempre in allerta, pronti a difendere i villaggi dai possibili attacchi dei militari birmani», mi rispondono i soldati. «Sono stati avviati dei negoziati di pace – mi dicono – ma i birmani hanno dimostrato un’assoluta mancanza di volontà nel raggiungimento di un accordo che possa soddisfare le aspirazioni di autonomia del nostro popolo». La situazione non è cambiata di una virgola dall’ultima volta che sono venuto qui. I bambini giocano, le donne e gli uomini lavorano e i volontari dell’Esercito di liberazione devono difenderli, giorno e notte. Dal 2001 ad aiutare il popolo Karen c’è anche la Onlus italiana «Popoli» che ha costruito e ricostruito interi villaggi, scuole e cliniche mediche distrutte dalla repressione di Rangoon. (http://frontierenews.it) […]