Sertaç Sehlikoglu è una giovane blogger turca che ha fatto dello sport il target della sua informazione. Attraverso il suo blog parla alla comunità musulmana, e non solo, di quanto potenziale esista tra le sorelle che si dilettano negli sport. Dottoranda in antropologia sociale all’Università di Cambridge, si è laureata prima in Sociologia ad Istanbul e poi in antropologia alla Concordia University di Montreal. A noi di Frontiere News racconta la sua avventura con il blog e quanto, nel corso degli anni, sia stato importante parlare della realtà femminile usando lo sport.
Intervista di Ilaria Bortot
Cosa ti ha fatto capire che era diventato necessario parlare delle donne musulmane nello sport?
Sono sempre stata in qualche modo turbata da come le donne musulmane venissero raccontate dai media occidentali. Negli anni ’90, quando studiavo per la mia laurea triennale in sociologia, mi resi conto che chi non aveva contatti diretti con donne musulmane e ricavava tutte le informazioni su di loro attraverso i media era portato a pensare che queste non vivevano affatto una vita piacevole. Cosa non vera, visto che io sono la prova vivente del contrario. Vengo da una famiglia sportiva e gli sport sono un buon argomento da usare contro i pregiudizi. Così ho deciso di condividere su internet il mio archivio con chi non fosse molto informato sulla vita sportiva delle donne musulmane. Ho subito capito che il web 2.0 era la giusta via per quelli che, come me, preferiscono parlare in modo “non convenzionale”.
Quale può essere il ruolo di questo progetto all’interno della comunità musulmana?
Devo dire che le risposte migliori le ho da parte di due gruppi. Il primo è quello delle atlete femministe del mondo occidentale, che sono a sostegno dell’emancipazione della donna attraverso lo sport. Loro conoscono molto bene l’approccio maschilista nel mondo dello sport internazionale. Il secondo è quello delle donne musulmane che stanno incontrando difficoltà nel perseguire la loro carriera come sportive, anche a un livello dilettantistico. Ricevo risposte sorprendenti, toccanti, mi raccontano di come leggere le notizie di altre sorelle musulmane le incoraggi molto.
A Londra 2012 hanno partecipato molte atlete musulmane. Che tipo di messaggio credi sia arrivato alla comunità di donne musulmane quando hanno visto delle brave sportive con l’hijab?
Nel mio blog ho avviato un progetto video a cura del regista indipendente Zeynep Yildiz e dell’associazione Maslaha. Sono dei cortometraggi sulle atlete musulmane e tra queste alcune hanno partecipato alle Olimpiadi indossando l’hijab. Tramite queste testimonianze, giovani donne che fino ad ora non avevano nemmeno immaginato lo sviluppo di una eventuale carriera sportiva hanno iniziato a rendersi conto che ci sono delle possibilità per perseguire gli sport anche a livelli agonistici molto alti. Il Bahrein ha iniziato nel 2000 e quest’anno ha ricevuto la prima medaglia di bronzo da un’atleta donna. Mi aspetto sempre maggiori successi negli anni a venire. Anche grazie anche a queste testimonianze positive.
Lo sport può diventare un mezzo per difendere i diritte delle donne?
Lo sport è un ambiente molto maschilista che rende difficile un riconoscimento verso le donne. Anche in aree del mondo dove le donne hanno pari diritti degli uomini. Così, guardando il quadro generale, è difficile dire che coinvolgere le donne nello sport porterà a un passo avanti verso la loro emancipazione nelle società patriarcali. È necessario capire come è considerato lo sport all’interno di queste stesse società. Certo, in generale lo sport può aiutare l’emancipazione femminile, sia fisicamente che emotivamente. Ma non aspettiamoci cambiamenti drastici.
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ancora troppi divieti e mutilazioni in culture non democratiche
Sport e islam. Sono dunque in contraddizione? Il numero crescente di giovani musulmani che s’iscrivono all’oratorio per giocare a pallone e le medaglie olimpiche delle atlete arabe, protette dall’hijab o esposte all’ira dei fondamentalisti, suggeriscono di no. Sarebbe difficile, d’altro canto, Corano alla mano, conciliare l’attività fisica, halal, con la demonizzazione del corpo, assolutamente haran. Che la lettura dottrinaria dello sport non sia parte dellafitna, la guerra civile tra oscurantismo e democrazia che secondo lo studioso Gilles Kepel lacera il mondo musulmano contemporaneo?.
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