A sette anni dal suo licenziamento, motivato perché non aveva osservato l’obbligo, imposto dalla British Airways, per la quale lavorava come addetta al check-in, di togliere dal collo, durante le ore di lavoro, la collana recante un piccolo crocifisso, Nadia Eweida ha vinto la sua causa contro la compagnia aerea di bandiera del Regno Unito: le donna beneficerà di un risarcimento di 32mila euro.
La sua storia comincia nel 2006. Nadia è una cristiana copta e presta servizio come addetta al check-in per la British Airways. Mentre è al lavoro, la sua postazione è presso il terminal 5 dell’aeroporto Heathrow, le giunge la discriminatoria richiesta: deve togliersi la collanina con la croce durante le re di servizio.
Nadia si oppone e motiva il suo rifiuto asserendo come i segni distintivi di altre fedi siano, invece, permessi dalla stessa compagnia. Il 20 settembre del 2006 Nadia Eweida riceve la lettera di licenziamento. Questa la motivazione: la sua croce d’argento contrasta con la “company’s uniform policy”, in pratica non rispetterebbe il regolamento aziendale, incentrato sulla neutralità riguardo la personalità, in questo caso religiosa, dei dipendenti.
Tuttavia, attorno a sé, Nadia osserva colleghe e altre impiegate che, senza nessuna limitazione, continuano a indossare il turbante, lavoratrici musulmane con il capo coperto con l’hijab. Scoppia la polemica. Coinvolti addirittura esponenti della politica nazionale, l’allora premier Tony Blair si espone pubblicamente, prendendo parte al dibattito detrattori e sostenitori di Nadia, schierandosi a fianco della donna nella battaglia legale che, di lì a breve, lei intraprende contro la British Airways.
Tra grandi pressioni e duri colpi all’immagine, la compagnia aerea è costretta a rivedere la sua posizione: il 3 febbraio reintegra Nadia Eweida senza, però, riconoscerle agli arretrati degli stipendi non percepiti nel periodo di licenziamento.
Diritti per il cui godimento Nadia intenta un ricorso al giudice del lavoro. Il giudizio attraversa varie fasi. La prima: la dipendente perde in primo grado, l’Employment Appeal Tribunal, infatti, non riconosce alcuna forma di licenziamento discriminatorio nei suoi confronti e dichiara legittimo l’operato della British Airways.
La donna impugna la sentenza alla corte d’Appello di Londra. Ma anche questa fase si conclude con una sconfitta. Nadia prosegue, così, la sua battaglia, sino ad adire alla Corte europea dei diritti umani. Richiamando l’articolo 9 della Convenzione europea dei diritti umani e delle libertà fondamentali, i giudici di Strasburgo hanno fatto salvo il semplice principio per cui “indossare simboli religiosi è una parte importante del diritto alla libertà di religione e alla libertà di espressione”.
Giunge così la sentenza tanto attesa: la British Airways risarcirà la sua dipendente la somma di 32mila euro anche a titolo di rimborso per gli arretrati non versati durante i giorni dell’allontanamento dal posto di lavoro.
Amnesty International ha spiegato, in una nota, l’importanza che questa vicenda faccia da apripista nella lotta a contrasto della discriminazione nell’impiego nei confronti di fedeli di ogni religione.
Casi simili a quello di Nadia Eweida accadono quotidianamente in molti paesi europei, atteggiamenti vessatori “giustificati” con la scusa che il vestiario o gli accessori non abbiano alcuna utilità ai fini dello svolgimento del proprio lavoro.
Emilio Garofalo
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