Sevil Sevimli è una ragazza di 21 anni. Francese di origine curda, lunghi capelli scuri, volto tipico di chi gira il mondo alla ricerca di opportunità e felici prospettive. Partita in Erasmus all’Università Anadolu, nella città di Eskisehir, nel nord della Turchia, Sevil adesso sta vivendo un vero e proprio incubo: la procura di Bursa ha chiesto, nei suoi confronti, una condanna a 21 anni di carcere.
I fatti: la ragazza giunta da Lione aveva partecipato alla manifestazione del primo maggio, assistendo a un concerto di una band di estrema sinistra, i Grup Yorum, ed esibendo un cartello recante lo slogan “vogliamo l’istruzione per tutti”. Il 10 maggio era stata, poi, arrestata, con l’accusa di “appartenere a un’organizzazione terroristica” e per aver, inoltre, reso attività di propaganda per il gruppo “Fronte Rivoluzionario di Liberazione del popolo” (Dhkp-c), di estrema sinistra.
A nulla sono valse le parole pronunciate, nell’immediato, dalla giovane studentessa: “Ho la coscienza pulita, non ho fatto nulla di illegale né di cattivo”. Subito, la procura di Bursa ha chiesto una condanna a 21 anni di detenzione, sostenendo appunto la tesi del coinvolgimento della ragazza in attività sovversive e terroristiche. Con lei sono finiti in questo “incubo giudiziario” altri quattro colleghi universitari, tutti ragazzi di origine turca: Burcu Akın, Ceren Cevahir, Kezban Yıldırım e Seren Özçelik.
Alla corte turca, che le ha imposto il divieto di lasciare il paese, Sevil Sevimli ha dichiarato di essere “di sinistra e socialista, di difendere la democrazia e l’uguaglianza”. Ha anche rivendicato il suo attivismo rivolgendosi così, a margine dell’udienza, ai giornalisti dell’Hurriyet: “Potete anche chiamarci terroristi solo perché siamo andati al concerto di Grup Yorum, ma voi sapete bene chi sono i veri terroristi, sono quelli che sfruttano la gente”.
E, se da un lato l’avvocato della giovane francese, İnayet Aksu, ha tentato, in aula, la carta della possibilità compromessa, dal divieto di lasciare il Paese, di proseguire negli studi, dall’altro, in favore della ragazza, la stampa, la politica, l’associazionismo, l’ambiente studentesco, in patria, si sono attivati, mobilitandosi con raccolte firme e manifestazioni a sostegno della sua liberazione.
Sevil, accusata in forza di leggi anti-terrorismo turche aspramente criticate dalle organizzazioni internazionali non governative per i diritti umani, è ora in libertà condizionata. Le stesse ong, tra cui l’americana “Freedom in the World”, si sono già espresse duramente sulla situazione di Ankara e del Paese turco: assegnando un voto di 3 su 7 per il rispetto dei diritti politici e di 4 su 7 per le libertà civili hanno criticato il governo turco.
Questo è quanto riportato nelle pagine del documento stilato: “Sotto Erdogan sono finiti in prigione centinaia di giornalisti, universitari, esponenti di partiti di opposizione e ufficiali delle forze armate, in una serie di processi per presunte cospirazioni contro lo stato o per l’appartenenza a organizzazioni curde”.
Episodi di intolleranza che porterebbero l’opinione pubblica internazionale ad accostare la Turchia a Paesi come l’Uganda, il Togo, la Tanzania, il Malawi, l’Ecuador: una repubblica, certo, ma anche un Paese “parzialmente libero”, in cui “c’è un limitato rispetto di diritti politici e libertà civili, un ambiente di corruzione, uno stato di diritto debole” e alle prese con “conflitti etnici e religiosi”.
Emilio Garofalo
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