Continua a tenere banco il problema inquinamento in Cina. Nel 2007 la Banca Mondiale parlava di 460mila morti all’anno a causa del boom industriale, nel 2009 la stessa stampa locale, oltre a quella internazionale, riconosceva il problema smog redigendo una vera e propria mappa dei così detti villaggi cancro, villaggi inquinati al punto da rendere la percentuale di incidenza tumore altissima.
Tra i più colpiti vi sono giovani in tenera età e gli adolescenti, che riportano diagnosi di cancro ai polmoni causato dall’aria e allo stomaco causato dall’acqua. Una recente indagine ha svelato che le polveri fini hanno superato di molto i livelli di sicurezza fissati dall’Oms. Inoltre la cappa crea mal di testa, attacchi cardiaci e pericoli alla salute, e una scarsa visibilità che è arrivata a condizionare perfino il trasporto aereo.
Dopo aver negato per anni il problema, anche il Governo cinese ha riconosciuto l’esistenza di zone, i villaggi cancro appunto, con un’alta concentrazione di veleni tale da impedire un regolare svolgimento delle attività umane. In questa settimana è stato redatto dalle amministrazioni locali un documento che completa il piano ambientale quinquennale e che ammette la presenza di materie chimiche tossiche e nocive.
La speranza della popolazione resta quella di vedere che tali affermazioni enunciate da giornalisti e Governo cinese corrispondano anche ad un’azione concreta, azione che per il momento sembra ancora troppo lontana e che inevitabilmente ricadrà sulle scelte concrete del nuovo segretario XI Jinping. Sull’ambiente l’attuale segretario del Partito Comunista Cinese dovrà giocare la partita più importante del suo mandato per tenere unito il Paese. Specie perché la classe media locale chiede migliori condizioni della qualità della vita, una maggiore trasparenza sui dati e la possibilità di cogliere esempi da città straniere, per migliorare l’aria della capitale e non aumentare il malcontento locale.
L.G.
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