Questa è la storia di un ‘navigatore dei divani’, un “couchsurfer” come ama definirsi. Si chiama Nenad Stojanovic, ha 29 anni, ed in cinque mesi ha percorso 25.000 km, facendo l’autostop, dalla Serbia, dove vive, fino in Cina. Tra un “divano” e l’altro (ne ha navigati 253 in tre continenti) si è fatto arrestare ben due volte.
Dopo aver saputo casualmente del viaggio intrapreso, consultando il sito couchsurfing.org, Liam Litchfield, per Matador Network, ha voluto intervistare Nenad Stojanovic a Pechino, l’ultima tappa del suo lungo viaggio. Si sono incontrati in un bar, ed il giovane, che il giornalista inquadra come “la versione orientale di Che Guevara”, ha cominciato il suo incredibile racconto.
Un’avventura che gli ha permesso innanzitutto di conoscere tante persone, ospite di casa in casa, e di auto in auto. L’idea del viaggio gli è venuta dopo aver conosciuto il “couchsurfing”, ed aver apprezzato l’idea del viaggio dai “vicini ai vicini di casa dei vicini”. Spostandosi sempre in autostop, solo una volta si è ritrovato a prendere un autobus, per attraversare la pericolosa zona interna afghana.
I luoghi dove ha dormito Nenad, sono stati i più vari. Dai più sicuri approdi indicati dal sito web, passando per una stazione di polizia afghana, ad un negozio di mobili turco, fino alla casa di alcuni talebani. Sempre accolto con gentilezza, racconta le sue avventure. Come quando parla della Turchia: “E molto facile fare l’autostop lì – spiega Nenad – non sono gli autisti a scegliere chi caricare in macchina, ma è l’autostoppista che sceglie l’autista. Una volta giunto a Nevşehir, nella Turchia centrale, non avendo trovato un “host” che mi ospitasse, ho avuto l’opportunità di dormire in un negozio di mobili usati, grazie alla cortesia del direttore. In seguito – prosegue – dopo essere rimasto per qualche giorno, l’uomo mi ha invitato a passare la notte a casa sua, mi ha offerto del tè e un pasto caldo.
Dopola Turchia, Nenad ha continuato il suo “surf” verso l’Iraq ed ha attraversato la frontiera su un furgone, insieme ad una compagnia di comici, maghi e danzatrici del ventre turchi che lo hanno invitato a soggiornare nell’hotel iracheno verso il quale erano diretti. “Questo è avvenuto nella parte curda dell’Iraq. Ora è una zona piuttosto sicura anche se ovunque si vedevano i segni della guerra. Comunque tutti erano simpatici ed ospitali. Ho evitato Mosul perché era troppo pericoloso”.
In Iraq, per chiedere i passaggi Nenad ha usato una targa scrittagli in arabo da una delle persone che gli ha offerto ospitalità. Lì l’autostop si è rivelato difficile perché gli abitanti di alcune zone non avevano mai visto turisti. Il nostro “couchsurfer” non ha perso il suo entusiasmo neppure attraversando l’Afghanistan, nelle zone di guerra.
“Ho voluto fare questo viaggio via terra. Ho cercato di ottenere un visto per il Pakistan, ma ci voleva troppo tempo. Poi ho deciso di fare una visita all’ambasciata afghana a Teheran, Iran. Il console è stato gentile ed ho pensato che il paese non doveva essere poi così male. Mi ha dato un visto subito dopo aver confermato la mia identità”.
Ed è stato in Afghanistan occidentale, ad Herat, che Nenad ha incontrato alcuni talebani locali i quali l’hanno ospitato e consigliato affinché il suo passaggio fosse sicuro. La convivenza con i talebani si è rivelata semplice, tra gli uomini che fumavano in salotto e con il cibo che “magicamente” appariva, preparato da donne invisibili che lavoravano in cucina.
Gli hanno spiegato che la scelta di essere talebani è dovuta al disaccordo con le leggi vigenti nel paese e che loro non sono terroristi, ma solo persone che la pensano diversamente. Non gli hanno fornito comunque altri dettagli ed il giovane non ha visto armi nella loro casa.
Oltre ai consigli su come comportarsi nelle zone rurali, gli afghani gli hanno suggerito un particolare autobus da utilizzare, per evitare di incappare in uno dei tanti blocchi stradali presenti in tutto il paese. “Erano persone cordiali ed ospitali. Non tutti i talebani sono terroristi. Suppongo che non hai mai sentito qualcosa di positivo su di loro, ma la mia esperienza è stata questa. – ha raccontato il giovane al giornalista – Mi hanno detto che sembravo uno di loro, credo fosse un complimento”.
I rischi in Afghanistan erano legati principalmente alla possibilità di essere rapito e tenuto in ostaggio, oltre alle mine antiuomo, alle bombe lungo la strada ed ai banditi. Ecco la sua strategia di sopravvivenza nelle strade afghane: “Ho pensato che sembrare un locale durante l’attraversamento di una zona di pericolo, avrebbe ridotto le possibilità di essere ucciso al 30%”.
Il suo travestimento consisteva nell’indossare un shalwar kameez bianco (abiti tradizionali afghani) ed un taqiyah (copricapo per i musulmani osservanti). L’abbigliamento gli era stato fornito dai suoi padroni di casa, che gli hanno anche insegnato a pregare verso la Mecca, in caso di necessità. Con la sua barba lunga aveva senza dubbio un “look afghano”. Dimostrando una grande fantasia e coraggio il nostro “surfer” si è finto sordo e muto. E per salvaguardare il suo zaino con gli oggetti di valore l’ha infilato in un sacco grande e maleodorante.
“Dormivo o fingevo di dormire. L’autobus era caldo e orribile ed il conducente guidava come un pazzo. Il panorama era niente di speciale e c’erano molti ponti ed edifici distrutti. Ci siamo fermati a pregare un paio di volte ed abbiamo incontrato talebani e posti di blocco della polizia. Alla fine sono arrivato a Kabul e la persona che mi avrebbe ospitato non poteva credere che avessi effettivamente viaggiato via terra”.
Dopo il terribile viaggio il successivo soggiorno di una settimana a Kabul a Nenad è sembrato una “vacanza estiva”. E dopo l’Afghanistan, il Tajikistan, il Kyrgystan ed infine la grande Cina, fino a Pechino. Ora Nenad si trova nel Hangzhou cinese e temporaneamente insegna l’inglese ad alcuni bambini della zona. In suo futuro è incerto e non è escluso che la voglia di provare il divano del vicino, si faccia sentire di nuovo. E allora, buon viaggio Nenad!
Paola Totaro
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