di Stefano Romano
In un contesto sociale in cui le differenze rappresentano spesso semplici sfumature e le storie di tutti sono il contorno di una realtà molto più complessa e ricca di problematiche, come quelle relative al rapporto tra nord e sud, il cortometraggio “geNEWration” (che sarà presentato domenica 3 marzo a Roma, in Via Fortebraccio 1) vuole farci scovare i tabù che ci limitano, per farci scoprire un modo nuovo di interpretare la nostra visione di quello che chiamiamo diverso. Mostrandoci infine che, trovandoci ad essere fautori di interazioni e del conseguente arricchimento, volenti o nolenti, siamo tutti coinvolti nel quotidiano confronto con l’altro. Ne parliamo con Amin Nour (co-regista insieme a Pietro Tamaro – Baburka production – musiche di Amir).
Amin, raccontaci di te.
Mi chiamo Amin Nour e sono nato in Somalia a Mogadiscio nel 1987. Ho visto lo scoppio della guerra civile del 91’ e sono arrivato in Italia all’età di 3 anni. Devo dire che, grazie alla bellezza della mente umana, non ricordo nulla. Ho perso tutte le memorie che riguardano le mie origini. Non ricordo più però neanche le lingue che avevo imparato da piccolo, l’arabo, l’amarico e il somalo. Ora parlo solo italiano con un forte accento romano e devo studiare dizione per continuare a fare l’attore. Ogni tanto mia madre se ne esce: “tu sei africano ed è un disonore che tu non riesca a sopportare il peperoncino, ormai sei italiano”. Quando ero piccolo e mia madre chiedeva se preferivamo qualche piatto tradizionale per pranzo o la pasta le rispondevo “A me dateme i maccheroni”. Quando arrivai in Italia conobbi la famiglia presso cui mia madre lavora tutt’oggi, fin dall’inizio fra mia madre e quest’ultimi si instaurò un rapporto speciale. Divenni il loro terzo figlio, mia madre loro sorella e i figli di questa famiglia i suoi. Ho imparato l’italiano seduto davanti alla tv grazie alla collezione di cassette di mio padre italiano. Da qui nasce la mia passione per il cinema, il fantasy e i cartoni animati.
Quando e perché è nato il progetto “geNEWration”?
Il progetto è nato più di un anno fa, quando ho iniziato a lavorare sul soggetto di un cortometraggio capace di raccontare le generazioni di figli di migranti in modo diverso da quello che normalmente viene utilizzato. Quello che mi interessava era di mostrare che i ragazzi nati in Italia da genitori migranti o arrivati molto piccoli, difficilmente si sentono immigrati anche se non hanno avuto il riconoscimento della cittadinanza. Questa dualità porta a dei conflitti che, però, non devono per forza sfociare in situazioni di malessere sociale. Di conseguenza, il mio scopo era di parlare di questi ragazzi trattandoli come ragazzi di borgata qualunque, con i loro problemi di tutti i giorni, ma molto smaliziati riguardo a temi importanti quali il razzismo.
Ho cominciato a scrivere diverse versioni e, arrivato a febbraio del 2012, sono giunto ad una sceneggiatura di cui mi ritenevo soddisfatto. Dopodiché ho iniziato a produrre il progetto. Dopo alcuni tentativi di collaborazioni andati male, il mio cammino si è incrociato con quello di Giulia Giorgi, truccatrice e organizzatrice, attraverso lei ho conosciuto Pietro Tamaro, che successivamente firmerà il corto come co-regista, e insieme a loro siamo riusciti in breve tempo a girare il corto. Da questa prima collaborazione, che vede coinvolti tra gli altri Gabrio Contino quale D.o.p. e Amir Issaa che ha gentilmente concesso la colonna sonora, è stato il nucleo centrale da cui si è sviluppato il progetto della Baburka Production che, nel 2012 ha sviluppato diversi altri progetti.
Come è stato formato il cast?
Il cast è stato formato molto prima della sceneggiatura. Dopo il primo film che feci nel 2009 (Good mornig Aman) e dopo esserci andato in concorso a Venezia, mi feci delle domande. A Venezia chiesero al regista se io e gli altri ragazzi neri fossimo stati doppiati. Sull’autobus ogni tanto sentivi dire: “ammazza come parli bene l’italiano”. E allora mi chiesi: “Ma quante persone conoscono i figli dei migranti?” Durante il periodo di studi alla NUCT, dove studiavo cinema e spettacolo, decisi che avrei realizzato un progetto in cui avrei descritto la realtà delle “nuove” generazioni. Il modo migliore era di prendere come attori persone comuni. Allora scelsi un coatto romano bianco e un coatto romano nero, il tutto mischiato a semplici scene di routine mostrando quello che ora è la nuova Roma.
Quale sarà il circuito di questo lavoro?
Per adesso, il corto è stato iscritto a molti festival nazionali, stiamo attendendo risposta riguardo alle selezioni future. Siamo convinti che il progetto abbia le carte in regola per avere una distribuzione a livello scolastico superiore, eventualità che già si sta profilando grazie all’interessamento dell’Unar e di Feltrinelli. La nostra speranza è che il progetto prosegua il suo cammino fino a diventare una serie di tipo televisivo, in grado, finalmente, di rappresentare in modo realistico anche se leggero la realtà sociale delle nuove generazioni di italiani.
Infine, cosa ne pensi tu delle cosiddette “Seconde generazioni”?
Per prima cosa, vorrei permettermi di correggere il termine “seconde generazioni”, per sostituirlo con “prime generazioni di nuovi italiani”. Dicendo questo non voglio assolutamente sminuire la provenienza della mia famiglia naturale, ma piuttosto prendere atto che un ragazzo che cresce, va a scuola, partecipa alla vita sociale di un paese, inevitabilmente si sentirà parte di quel paese. Può sembrare un atteggiamento superficiale ritenere che un pezzo di carta possa riempire un vuoto come quello della crisi identitaria, eppure la cittadinanza a chi cresce o addirittura nasce in Italia è la base su cui l’identità delle persone che, come me, hanno due bagagli culturali grandi a cui riferirsi, può trovare un solido fondamento.
Grazie da parte di Frontiere News e vi auguriamo il meglio per il vostro progetto.
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