Tai Po, Hong Kong. Figli delle metropoli franate – fotogallery

La drammatica trasformazione urbana di Hong Kong dalla fine degli anni ‘50 sino ad oggi ha cambiato il volto e l’identità della città. L’azione antropica sull’area di Sha Tin, iniziata sin dai primi anni del 1970 e dovuta alla bonifica ed estensione della terraferma sul mare, ha cancellato numerosi villaggi rurali generando l’agglomerato urbano residenziale più grande di Hong Kong. Alessandro Carboni, artista visivo, in residenza ad Hong Kong, ci racconta queste trasformazioni a partire dalla sue esplorazioni nel Shing Mun River, il fiume che attraversa l’area di Sha Tin. Il fiume diventa il luogo di contatto tra due punti, il paesaggio naturale nello specifico la coast line, il fiume e le montagne, e il paesaggio artificiale, ovvero il risultato degli effetti dell’attività produttiva, della vita sociale, culturale e ambientale nei vari quartieri a partire da Tai Wai fino ad arrivare Tai Po. Il fiume, secondo l’artista è l’elemento centrale della trasformazione, un sistema paesistico concreto, ovvero un elemento in equilibrio in cui tutti gli elementi naturali ed artificiali possono essere variamente collegati. Interviste, registrazioni ambientali, sonore e visive del paesaggio saranno presentate in forma di, installazioni audio-visive in una mostra ad Hong Kong e donate al progetto Library, l’archivio sonoro curato dall’organizzazione Sound Pocket di Hong Kong.

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di Alessandro CarboniCAPITOLO DUE (Leggi il anche primo capitolo di questo reportage a puntate)

Oggi è domenica. Il cielo da alcuni giorni è grigio e la temperatura non è calda. Non c’è vento le nuvole basse rendono tutto schiacciato e statico. Mi trovo a Tai Wo, nel distretto i Tai Po. Dopo la prima esplorazione nella zona di Tai Wai, ho deciso di non seguire un percorso lineare, ma di concentrarmi su delle aree urbane ben precise connesse con lo Shing Mun River. Tai Po è dalla parte opposta di Tai Wai. Precisamente si trova nel delta dello Shing Mung River e nel Tolo Harbour. Sono nella parte estrema dei New Territories, infatti non lontano da qui, c’è la Cina.

Dylan un amico che abita qui vicino, mi ha raccontato diverse storie, utili per capire la complessità dell’area di Tai Po.

 

Arrivato alla stazione di Tai Wo, attraverso lo shopping mall, desolato. I flussi umani la domenica mattina sono quasi inesistenti. Ora sono fuori dalla stazione. Inizio a camminare e oltre i palazzi mi ritrovo di fronte al fiume, il Lam Tsuen River. Decido di percorrerlo fino al Tolo Harour, la baia su cui confluisce anche lo Shing Mun river. Il fiume è simile allo Shing Mun River che ho esplorato nella zona di Tai Wai: è completamente ricoperto di cemento. La paura delle inondazioni, ha spinto gli inglesi coloni a ricostruire gran parte dei fiumi e trasformarli in canali di drenaggio. Attraverso un ponte pedonale, un colonnato coperto che arriva proprio di fronte al villaggio di Kam Shek. In realtà leggo the new village Kam Shek probabilmente ricostruito negli anni 70. Si respira un’ aria fresca, morbida. Alla mia destra, l’acqua del fiume è poca: una piccola lingua d’acqua che scorre nel cemento. Dopo un breve tratto, l’acqua aumenta riempendo tutto il letto del fiume. Osservando verso sinistra, vedo che l’acqua scorre, e non molto lontano si intravede il delta del fiume e il Tolo Harbour. Lo spazio è frammentato, non esiste una vera e propria separazione, ma piuttosto un equilibrio tra le parti. Noto numerose stratificazioni, villaggi, ricostruzioni degli anni 70 e infine le più recenti costruzioni: strade e centri commerciali. Non riesco a vedere una discontinuità ma piuttosto uno strano dialogo tra i materiali, tra le forme, tra le persone.

 

Nel mentre che cammino, penso. Vedo la frammentazione nelle cose che incontro: le spaccature delle pietre create da un albero, che con forza è penetrato in un piccolo tempio arroccato sul fiume. Le spaccature si trovano anche nella vernice screpolata che vedo sotto i pilastri che reggono il ponte su cui passano i treni della Mtr. Il cammino prosegue lentamente, il rumore del treno che passa, le poche auto in strada e il flusso di ciclisti della domenica. Lungo il fiume alcune signore parlano ad alta voce nel mentre un gruppo di anziani gioca a carte o scacchi sotto un albero e una copertura di plastica. Rallento il passo per ascoltare i livelli sonori che si sovrappongono. Dopo circa 300 metri giro a destra, ricordando che i suggerimenti di Dylan invitavano ad esplorare i mercati e la vecchia area di Tai Wo, la parte interna sulla destra del fiume. In quest’area sono facilmente visibili i confini del vecchio villaggio. Non molto lontano la vecchia stazione dei treni, ora diventata museo. Le strade sono relativamente strette e la stratificazione degli edifici è facilmente visibile: piccoli edifici sbiaditi si sovrappongono ai più alti, nuovi e trasparenti palazzi. Incastonato tra questi edifici, un piccolo tempio, forse uno dei più antichi templi della zona. Continuo la camminata e percorro l’isolato arrivando all’entrata del mercato. La strada è pedonale ed affollata. La domenica è una giornata importante per il mercato, perché la maggior parte gli abitanti del quartiere non lavora e ha la possibiltà di fare la spese con più calma. Cammino tra le bancarelle di frutta, negozi antichissimi che vendono pesce essicato, verdure e fresche, pentole ecc. Le tende delle bancarelle non permettono alla luce di penetrare. Cammino in un tunnel rumoroso di suoni, odori e colori. Alla mia destra, dal tempio che avevo intravisto alcune centinaia di metri prima, fuoriesce un fumo denso che crea delle striature di luce nel cielo che diventa ancora più scuro. Proseguo il mio cammino nelle bancarelle delle signore che vendono verdura. Queste sono sedute da ore davanti al loro banchetto in attesa che qualcuno gliene compri qualcuna.

 

Oltrepassato il mercato, arrivo alla zona di passaggio verso Tai Po Centre. Qui hanno costruito un nuovo mercato. Dopo 20 anni, il mercato temporaneo che era stato costruito in una piazza, è stato sostituito da un nuovo edificio grigio che ospita non solo verdura, frutta carne pesce ecc, ma anche un ampio spazio in comune in cui si trovano tantissimi piccoli ristoranti locali. La domenica quest’area è molto affollata, quindi decido di esplorarla per capirne le dinamiche. Riesco per fortuna a sedermi in un piccolo tavolo di fronte ad un noodles shop. Tempo fa alcuni amici, mi dicevano che i mercati del governo hanno una regolamentazione specifica sulla concessione dei tavoli per ogni ristorante. In relazione alla grandezza del locale, il governo assegna dei tavoli e delle sedie fissate al pavimento. Questa organizzazione, permette al governo di controllare il flusso delle persone che entrano, che mangiano ed escono dall’edificio. Ogni ristoratore però, a sua completa discrezione, quindi senza permesso, ha inserito dei tavoli e delle sedute occupando lo spazio libero per il passaggio delle persone da un tavolo all’altro. Ho sentito dire che poi esiste una altra gestione dei tavoli, in mano alla criminalità organizzata che gestisce, previa tangente, il numero dei tavoli extra assegnati per ogni ristoratore. Chiaramente queste sono solo delle leggende! Comunque vada, il risultato è incredibile! Una folla di persone occupa a ciclo continuo, l’indefinito numero di tavoli microscopici che si scontrano l’uno con l’altro. Mangiare in questo mercato diventa un’ esperienza di comunità molto interessante…

 

Il viaggio verso Tolo Harbour continua e dopo il mercato, mi ritrovo nuovamente immerso nella città. Oltrepasso un altro confine e mi ritrovo in una zona sopraelevata, una collina in cui i sentieri attraversano alberi e felci verdissime. Tra la vegetazione, si scoprono case coloniali diroccate con finestre e porte celesti. Probabilmente queste costruzioni dovevano essere un avamposto militare o governativo durante la colonia britannica. Il sentiero in discesa mi porta nuovamente verso il Lam Tsuen River. Costeggio il fiume per un breve tratto e incontro una delle Case Popolari più vecchie della zona. A differenza delle altre Case Popolari della zona, che hanno una forma a croce con un corpo centrale, la Kwong Ping House ha una conformazione diversa. Il corpo centrale non esiste, il palazzo è costruito intorno ad un quadrilatero che lascia un vuoto centrale. L’edificio, molto alto è stato molto probabilmente costruito negli anni 60-70. Il quadrilatero al centro è poco illuminato, luce dall’alto non riesce a penetrare. Dal basso, osservo gli infiniti piani dell’edificio che si innalzano verso il cielo. Le balconate sono protette da ringhiere verdi e le porte di entrata degli appartamenti, sono chiuse da porte reticolari scorrevoli. Nessun movimento, nessun suono. Provo a battere le mani e creare un suono per testare il riverbero.

 

Il percorso dentro la Social House continua tra i colonnati, i vecchi che giocano a JeungChi, comunemente chiamati gli scacchi cinesi e i bambini che si rincorrono negli ampi spazi. Una brezza di vento, muove i panni stesi in lontananza. Il cemento grigio senza piastrellatura che ricopre tutto lo spazio, ha la stessa tonalità di grigio delle nuvole che ancora sovrastano la città. Seguo i segni nel cemento grezzo segnato da tracce, spaccature e muschi cresciuti nell’umidità tra le fessure. Continuo a camminare verso il Tolo Harbour e stavolta il sentiero mi conduce esattamente nel delta del fiume. Un ponte, utilizzato come rimessaggio per le barche dei pescatori, segna l’inizio della baia. L’orizzonte si apre estendendosi per tutto il piano visivo. La foschia nasconde le isole in lontananza, riesco ad intravedere il muro di palazzi residenziali costruiti dall’altra parte della baia. Il suono a questo punto sembra essere svanito. Il rumore urbano per il momento è lontano.

 

Il rumore dell’acqua spinta dalla brezza, si sovrappone con il suono delle bici che scorrono velocemente alle mie spalle. Continuo a camminare per circa 600 metri con passo lento che mi permette di analizzare ogni singolo frammento sonoro e visivo. Sale la brezza e gli aquiloni si levano in aria. Alla mia destra, la ringhiera, il mare, il grigio delle nuvole. Alla mia sinistra, gli alberi perfettamente allineati che seguono la curva del marciapiede all’infinito. Famiglie, bambini, bikers, vivono lo spazio in modalità diverse. Ma le donne filippine che lavorano qui ad Hong Kong, sono veramente speciali. Sono capaci di riorganizzare e reinventare i luoghi semplicemente utilizzando una tovaglia. Infatti la domenica, l’unico giorno delle settimana che non lavorano, si incontrano e mangiano assieme all’aperto e negli angoli più incredibili della città.

 

Oltre gli alberi, inizia un nuovo paesaggio, qualcosa di strano. I palazzi si sono trasformati in Silos e il rumore del vento è diventato il brusio di una ventola industriale. Anche il cielo è cambiato, ci sono altre sfumature di grigio, ma stavolta le nuvole fuoriescono dalle ciminiere dell’impianto industriale. Cerco di capire come si possa arrivare a quella zona cosi diversa e interessante. Finalmente trovo un’ uscita, una strada che mi conduce alla zona industriale. Scopro in un successivo momento che questa è una delle poche zone industriali di Hong Kong. E’ domenica, non c’è tanta gente in giro, e per questo riesco a capire i confini, gli strati e la morfologia del nuovo paesaggio appena scoperto adiacente alla baia. Oltre la porta di entrata, scopro un sentiero di cipressi che termina di fronte ad un albero molto grande. Sorpassato questo ennesimo gate, una struttura in acciaio che delimita il passaggio solo ai pedoni, mi ritrovo in un parcheggio di cemento. Alla mia destra, le antenne satellitari della TV e alla mia sinistra la più grossa centrale di gas di Hong Kong. Le fermate dell’autobus sono vuote e mi sembra di essere entrato in un altro mondo. Avanzo per 500 metri lasciandomi alle spalle le nuvole di vapore che dopo qualche istante si dissolvono nel cielo. Di fronte a me, un palazzo bianco segnato dalla ruggine del ferro che fuoriesce dalla struttura; leggo la scritta Oriental Press Centre, un centro stampa molto importante. Più avanti la Watson, una delle industrie di acqua purificata più importanti di Hong Kong. Ancora più avanti, un’ altra stazione degli autobus, ma stavolta abbandonata. Le pensiline sono ossidate cosi come le ringhiere. Il cemento a terra nasconde ancora i segni del passaggio degli autobus che diventano tracce, elementi sonori che posso solo immaginare. Cerco di ricostruire il flusso dei lavoratori che salgono e scendono dall’autobus, nel cemento spaccato dal muschio e dall’umidità. Il tempo, sgretola i materiali poco a poco, trasformandoli in polvere.

 

Adiacente al muro, non lontano dall’ ultima pensilina della stazione, si intravedono delle colonne di materiali lucidi ferrosi che riflettono la luce grigia del cielo. Incuriosito, mi avvicino oltre il muro e dal cancello vedo delle colonne di lingotti e dei fogli di alluminio. Il cielo grigio e le ombre della ringhiera sull’ alluminio, trasformano i fogli in lastre di argento su cui i segni raschiati assomigliano a delle incisioni, segni di una mappa di chissà quale territorio.

 

Sono davanti alla strada e al muro di alberi che segna il confine tra la zona industriale e qualcosa altro. Sono in piena campagna, qui iniziano le colline cariche di vegetazione. Rinizio a sentire gli uccelli che cantano e i cani in lontananza che abbaiano. Sono entrato in una nuova bolla sonora: distanza, prospettiva, lontananza. I primi 200 metri di sentiero di terra battuta, attraversano una area di passaggio di cantieri, case in costruzione, vegetazione, e piccoli agglomerati di case molto basse che sembrano esistere da moltissimi anni. Probabilmente sono uno di quei villaggi indigeni della cultura Hakka che abitavano i New Territories. Continuo per il sentiero fino ad arrivare sopra la collina, vicino ad alcune case rurali e agli orti di famiglia che si sviluppano nelle parti più pianeggianti. I cani abbaiano ininterrottamente.

*Alessandro Carboni focalizza la sua ricerca sul coinvolgimento di molteplici settori che attingono da studi sia teorici che pratici. La sua esperienza, maturata come artista visivo e performer, si concentra sul corpo e la sua relazione con lo spazio. Le sue pratiche si sono consolidate nel corso degli anni attraverso un metodo che si avvicina a percorsi simili nel campo delle scienze (in particolare alcune delle ricerche svolte in architettura, geografia urbana, processi cognitivi e teoria dei sistemi complessi). Negli ultimi anni, ha sviluppato diversi progetti, mostre e performance in festival, musei e gallerie in Europa, USA, Hong Kong, India e Cina. La sua pratica si esprime anche attraverso il progetto di ricerca Complex Body Network. Recentemente ha presentato la performance Learning Curves, Kaitak River, alla XIII Biennale di Architettura a Venezia. Alessandro Carboni è co-fondatore di Formati Sensibili -Art&Science Mashups, una casa di produzione indipendente che promuove la ricerca artistica e scientifica.
www.progressivearchive.com

Learning Curves/Shing Mun River

da Overlapping Discrete Boundaries – Asia

un progetto Alessandro Carboni – 2013

realizzato all’interno Library – SoundPocket, Hong Kong

con il supporto dell’Istituto Italiano di Cultura e il Consolato Generale dell’Italia ad Hong Kong.


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