di Alessandro Carboni – CAPITOLO IV (Leggi anche il terzo capitolo di questo reportage a puntate)
Mi trovo all’uscita della stazione di City One. Sono in quelle stazioni della metropolitana sopraelevate di cemento armato che collegano le parti più remote delle periferie di Hong Kong. Sorpassato il gate, scendo le scale e sono in strada. La sopraelevata è una perfetta linea sinusoidale che penetra gentilmente le montagne qui intorno. La linea va verso l’infinito tra i palazzi che sembrano crescere initerrrotamente come un erbaccia infestante. City one è un nuovo quartiere nato intorno alla fermata della metro e all’ospedale Price of Wales. Una stazione di un metropolitana può cambiare drasticamente la morfologia di un paesaggio. E’ capace di ridescrivere le geometrie e gli equilibri dello spazio urbano. Così è successo nella valle di Lek Yuen che prima della creazione delle new tow, era popolata da villaggi rurali provenienti da diverse culture, locali tra cui i nomadi Hakka ecc. Ogni villaggio poteva essere considerato come un nodo, come il punto di incontro delle linee di forza che creano la griglia urbana. Con le massicce bonifiche e la creazione di nuova terra rubata al mare, sono emersi nuovi pattern e sono stati riscritti gli equilibri del nuovo impanto urbano di Sha Tin. Le fermate della metropolitan di City one è diventano il fulcro, il baricentro delle forze su cui convergono le residenze, i trasporti, i negozi e le persone.
E’ mattina. Come tutte le mezze mattine di periferia, le strade sono semi deserte. I veri flussi, quelli che spingono le persone a spostarsi verso ill centro della città, sono momentaneamente assenti. La luce è sgranata, il sole è caldo e uno strano vento teso arriva delle montagne qui a fianco. Seguo il marciapiede che scorre lungo la sopraelevata, e con lo sguardo osservo le montagne verdi che si innalzano per diverse centinaia di metri. Non molto lontano da qui c’è il tunnel che va oltre la montagna e dritto verso Kowloon. Nei giorni scorsi ho avuto il piacere di incontrare Mr.Choi, un anziano abitante del villaggio Tai Wai. L’incontro è molto interessante perchè Mr.Choi mi racconta l’evoluzione, la geografia dell’area di Lek Yuen attraverso la storia dei suoi villaggi. Le descrizioni di Mr.Choi sono arrichite da aneddoti, leggende e storie dell’altro mondo. Prendo appunti localizzando i nomi e le strade direttamente in una mappa. Ed è proprio con questa mappa, che oggi sono qui per seguire le aree i villaggi che Mr.Choi mi ha indicato.
Le strade sono libere e ogni tanto qualche macchina in velocità interrompe il silenzio. Continuo a camminare verso il fiume Lek Yuen che prende lo stesso nome dalla valle. Attraverso la strada illuminata dal sole alternata alle ombre taglienti che si proiettano sul marciapiede. Penetro nei palazzi, camminando su dei passaggi che mi portano nella zona industriale apparentemente inattiva da parecchio tempo. Oltre la sopraelevata, che intravedo tra i capannoni, intravedo, altri palazzi, le grandi case popolari che arrivano fino allo Shing Mun River. Continuo a camminare e una salita mi porta verso il fiume che, partendo dalla montagna scorre e arriva allo Shing Mun river. Mi dirigo verso la montagna alla ricerca del Siu Lek Yuen Village, segnato da Mr.Choi come uno dei primi villaggi costruiti nella valle. Il fiume scorre molto lentamente, come si muovono lentamente le bici e gli atleti che la mattina corrono lungo il fiume. Gli uccelli sopra gli alberi lungo il fiume, cantano a squarcia gola! rallento il passo e continuo a registrare il coro osservando lontano un nuovo cavalcavia dove scorrono numerose macchine. Oltre strada, annebbiato dalla foschia, un muro di palazzi che sale in modo irregolare sulla montagna. Mi fermo sotto il cavalcavia ad ascoltare il rumore dell’acqua che scorre lentamente che si sovrappone al suono delle gomme dei camion che sfrecciano velocemente. Un airone bianco, immobile, aspetta dall’altro lato. In questo punto, si congiungono due fiumi come le due strade proprio sulla mia testa. I flussi che scorrono in parallelo, uno in alto e l’altro in basso, creano una materia sonora incredibile. Ascolto con calma i dettagli, registrando ogni piccolo dettaglio. L’airone prende il volo, e io inizio nuovamente a camminare. La luce penetra a tratti, tra gli alberi e l’incroci delle strade. L’acqua sporca, e i detriti del fondo sono perfettamente visibili. I riflessi della luce sull’acqua si proiettano sui pilastri immersi nell’acqua diventando mappe, geografie liquide, territori in trasformazione. Lo spazio creato sotto la sopraelevata, il fiume che scorre, gli alberi che si immergono nell’acqua, creano una sorta di ambiente ibrido, un micro-clima urbano che mi ricorda una foresta tropicale. Il cavalcavia si abbassa, rendendo il passaggio molto stretto quasi impenetrabile. Oltrepasso il fiume e arrivo su una strada larga conduce al villaggio Siu Lek Yuen Village. Ragazzi giocano a calcio nell’ombra di un palazzo altissimo. La stessa ombra si allunga verso la valle coprendo in parte il villaggio. Il suono della partita, le urla dei ragazzi rimbombano fino all’entrata dal villaggio. Lo spazio si restringe, si abbassa e le strade diventano strette trasformando il villaggio in un labirinto. Nel villaggio, non trovo quello che mi aspetto, ovvero i tratti caratteristici di un villaggio antico del passato. Le case sono smaltate, ristrutturate, probabilmente negli anni 70. Il villaggio racconta un altra storia, forse inaspettata ma viva, per neinte turistica. Fuori dal villaggio, cammino per lungo una strada che penetra un’area alberata, nuovamente un cavalcavia e un piccolo torrente che probabilmente si unisce al fiume Siu Lek Yuen.
Sorpassato un colle alberato, intravedo una larga cintura di palazzi su cui sotto, passa un altra sopraelevata che conduce alla stazione di ShaTin Wai. Mi trovo esattamente in una linea di confine, un linea di separazione in cui da un lato abbiamo l’agglomerato urbano dall’altro abbiamo la montagna e i villaggi. Infatti proprio di fronte a me, vedo un villaggio. Continuo a camminare su una discesa abbastanza ripida che mi porta all’entrata del villaggio. In realtà non è facile capire dove sia l’entrata, perchè il villaggio sembra chiuso da una rete di recinzione. Dall’altra parte vedo un cancello aperto con un lucchetto lucido quindi ancora in uso. Le zone recintate, come ne ho visto parecchie in giro per Hong Kong, probabilmente sono aree del governo. Incredibilmente, a differenza di tante altre, queste zone, incolte, prive di qualsiasi cura, nascondono una vegetazione rigogliosa e variegata. Fino ad ora, nelle aree urbane, l’intervento umano sulla natura è sempre stato repressivo. I parchi, le aiuole, gli alberi sono estremamente controllati e razionalizzati. Le aree governative recintate diventano zone temporanemente incontrollate, un terzo paesaggio più volte descritto da Gilles Clement. In queste aree, in cui sono recintate anche le case del villaggio, la natura non è più un paesaggio naturale come quello che si trova nell montagne qui difronte. Non è neppure un paesaggio artificiale di cinture di palazzi come quelli che ho visto aldila della sopraelevata. Allora cosa è questo spazio? Forse è una nuova tipologia spaziale, forse sono gli spazi interstiziali che la città non è in grado di definire e quindi gli lascia in sospeso in attesa di destinarli a qualcosa di più definito? Questi luoghi di confine estremamente affascinanti, ad Hong Kong assumono un valore ancora più speciale. Giorni fa leggevo un articolo di Rey Chow, un importante stusiosa di Hong Kong che, nei sui numerosi saggi su Hong Konh, ha trattato i temi delll’identita e del post-colonialismo. In rifermento al ritorno di Hong Kong alla Cina, dopo essere stata per 150 anni colonia inglese, Rey Chow parla di “Terzo Spazio” ovvero il luogo in cui Hong Kong dovrebbe ritrovare se stessa, la propria identità e radici culturali aldilà delle imposizioni culturali coloniali inglesi e post-coloniali cinesi. Ma la Chow si chiede, come Hong Kong possa trovare la propria identità, se per identità si fa riferimento ad una storia, al folclore, alle radici se queste fanno parte di una storia che non gli appartiene? Hong Kong si trova in mezzo, in uno spazio di ibrido, tra due mondi che la schiacciano.
www.progressivearchive.com
Learning Curves/Shing Mun River
da Overlapping Discrete Boundaries – Asia
un progetto Alessandro Carboni – 2013
realizzato all’interno Library – SoundPocket, Hong Kong
con il supporto dell’Istituto Italiano di Cultura e il Consolato Generale dell’Italia ad Hong Kong.
Profilo dell'autore
- Dal 2011 raccontiamo il mondo dal punto di vista degli ultimi.
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