di Alessandro Carboni – CAPITOLO V (Leggi anche il quarto capitolo di questo reportage a puntate)
Mi trovo su un treno, in direzione Fo Tan. Sono al centro del tunnel che attraversa la montagna Lion Rock e che separa Kowloon da New Territories, al nord di Hong Kong. Il treno fuoriesce dal tunnel e la luce penetra all’interno. Dal finestrino osservo il paesaggio che scorre veloce: Tai Wai, Sha Tin e infine Fo Tan. Si aprono le porte ed eccomi nuovamamente in un nuovo spazio urbano da esplorare. Dopo il primo passo fuori dal treno, penso: camminare per la prima volta in un luogo sconosciuto è sempre una rivelazione. Se prestiamo attenzione, nel mentre che si cammina, ci si rende conto che passando da un luogo ad un altro si penetrano continuamente diverse stratificazioni sonore. Ogni luogo potrebbe essere descritto e rimappato a partire dal suono che produce, dagli odori che emana, dalla luce che proietta. Questi sono gli elementi che tengono insieme uno spazio urbano: elementi effimeri, volatili, unici che ne caratterizzano l’essenza e l’identità.
Continuo a camminare dentro la stazione e i pensieri si trasformano in immagini. Una larga finestra mostra il paesaggio di Fo Tan dall’alto. Da un lato lo Shing Mun River, dall’altra i palazzi residenziali di recente costruzione e la zona industriale. Fo Tan è uno spazio in trasformazione: agli inzi degli anni ’70 l’intera area popolata da qualche villaggio, diventa uno dei poli industriali più importanti di Hong Kong. Con l’ascesa economica cinese, soprattutto nell’area del Guangdong, gran parte delle industrie hanno spostato la loro sede operativa di produzione in Cina. Nel 2001, poco a poco, più di 70 unità industriali sono state riaperte come studi di artisti e gallerie. Le industrie non hanno lasciato definitivamente gli spazi di Fo Tan, ma hanno mantenuto una sede di stoccaggio materiali, uffici ecc.
Dopo alcune centinaia di metri dalla stazione della metropolitana, arrivo alla zona industriale. Penetro nel canyon degli edifici industriali. Le strade sono abbastanza strette e gli edifici sono dei blocchi di cemento armato multipiano rettangolari che si innalzano al cielo per alcune centinaia di metri. Spesso gli edifici sono di colore pastello o nelle svariate tonalità di grigio. I piani sono facilmente visibili ed identificabili: all’esterno sono indicati enormi numeri dipinti (2, 3, 4, 5, 6 e cosi via fino al 28, 30, 34). Nei piani bassi ci sono i materiali di stoccaggio che vengono trasportati in entrata e in uscita da grossi camion. I marciapiedi sono usurati e in prossimità dell’entrata e dell’uscita degli edifici sono ricoperti da una piattaforma metallica. Il suono del passaggio dei camion crea un ritmo che risuona nel canyon e nei parcheggi adiancenti ai blocchi. Per ora non c’è nessuna traccia di atelier di artisti. Solo lavoratori in tuta che caricano e scaricano pellet.
L’interna area urbana si sviluppa in una griglia di strade perfettamente ortogonali. Continuo a camminare sfiorando le pareti laccate degli edifici, seguendo le macchie d’olio a terra e la montagna, che a nord segna il confine dell’ area industrale. Un suono grave, continuo accompagna ogni passo e centimetro del mio spostamento. Sono le ventole che, continuamente accese, creano una frequenza bassa costante in tutta l’area industriale. Camminando nel marciapiede si ascolta la stratificazione sonora che si accompagna, la vedo che fuoriesce con forza dai tubi delle ventole. Subito dopo l’ultimo blocco industriale, vedo in lontananza un agglomerato di case molto basse. Mi trovo nel villagio di Wo Liu Hang. Alcune case, quelle di fronte ai blocchi industriali hanno la data di costruzione (1968, 1970, 1954), altre sono agglomerate su una piccola collina. Queste sono case promiscue costruite con materiali di recupero, lamiere, pannelli pubblicitari in disuso che mi ricordano gli incredibili slums di Mumbai. Faccio alcune foto dall’alto e continuo a registrare. In lontananza gli altissimi e nuovi palazzi residenziali, i blocchi industriali e le case del villaggio. Continuo a camminare su un sentiero di cemento e arrivo in uno slargo dove è stato costruito un piccolo campo di calcio in cemento. Adiancente al campo, ci sono ben 8 ventole. Il suono è molto forte, una sinfonia… Si creano strani accordi, fughe. Il vento che fuoriesce dai tubi arriva fino ai rami, le foglie e alcune plastiche appese, facendole dondolare come altalene. Intorno al campo sono state installate delle strutture fonoassorbenti che schermano il suono e le vibrazioni. Mi fermo alla ricerca della posizione migliore per ascoltare.
Il centro del campo, è il punto migliore in cui convergono gran parte delle onde sonore e le frequenze. Come stare al centro di un teatro greco, il campo di calcio è cassa di risonanza dello spazio. Mi avvicino alle ventole, il suono è sempre più forte, il muro è annerito dall’olio bruciato dei motori. Adesivi, carte, vecchi manifesti attaccati al muro vibrano velocemente creando un’ immagine sfocata. Faccio alcuni passi indietro e mi siedo sotto la struttura fonoassorbente per ascoltare lo stesso suono ma con un filtro. Non lontano da me, un signore anziano dorme sdraiato. Chiudo gli occhi per ascoltare ogni minima variazione. Gli strati, il gradiente sonoro sono la partitura accidentale di un evento sonoro inaspettato. Riapro gli occhi, riprendo il cammino tra i canyon di Fo Tan.
www.progressivearchive.com
Learning Curves/Shing Mun River
da Overlapping Discrete Boundaries – Asia
un progetto Alessandro Carboni – 2013
realizzato all’interno Library – SoundPocket, Hong Kong
con il supporto dell’Istituto Italiano di Cultura e il Consolato Generale dell’Italia ad Hong Kong.
Profilo dell'autore
- Dal 2011 raccontiamo il mondo dal punto di vista degli ultimi.
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