Amnesty International ha rivolto un appello all’Arabia Saudita e al mondo intero perché fermi la condanna alla paralisi nei confronti di un uomo che dieci anni fa pugnalò un amico alla schiena rendendolo paraplegico.
La vicenda di Ali Al-Khawahir, un saudita di 24 anni che dal 2003 è in carcere, torna a far parlare di sé perché il 2 aprile un tribunale dell’Arabia Saudita ha deciso che se l’uomo non sarà in grado di pagare un indennizzo di un milione di riyals (oltre 200 mila euro) sarà sottoposto alla stessa pena. È l’applicazione della “qisas”, una sorta di legge del taglione vigente in Arabia Saudita.
L’applicazione di questa legge, che segue il principio di “occhio per occhio” della lex talionis, è applicata in Arabia Saudita oltre ad altre forme di punizione corporale come la fustigazione, l’amputazione, l’estrazione di occhi o denti e la decapitazione, in osservanza della Shari’a, di cui il Paese del Golfo è un fedele osservatore.
Ann Harrison, il vicedirettore di Amnesty International per il Medio Oriente e il Nord Africa, ha denunciato questa condanna dichiarando che “paralizzare qualcuno come punizione sarebbe una tortura” e definendola una sentenza “assolutamente scandalosa”. Secondo l’organizzazione non governativa una simile punizione fu imposta nel 2010, ma non sembra mai essere stata applicata. Se quella emessa in questi giorni venisse portata a termine, violerebbe i principi di etica medica adottati dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite, oltre che la Convenzione contro la tortura, di cui l’Arabia Saudita è stato parte.
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