Tra il popolo Beka’eh, dove l’ospite è considerato una benedizione inviata da Dio

L’ospite come benedizione divina. L’antico rituale di benvenuto negli sperduti villaggi del Borneo, immersi nella foresta tropicale e raggiungibili solo via fiume.

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Il borgo di Bumbung, nel Borneo Occidentale, è un’area isolata al confine orientale con la Malesia, popolato principalmente dall’etnia dayak Beka’eh. Oltre al potenziale naturale, con le sue quattro cascate ed il suo manto di foresta tropicale ancora incontaminata, sono molte le antiche usanze ancestrali e le unicità della tradizione che riflettono la saggezza della comunità locale, e che possono essere ritrovate ancora oggi. Tutte queste tradizioni appaiono ben preservate e mantenute nel tempo.

Tuttavia è difficoltoso raggiungere questa zona, a causa della mancanza di infrastrutture e strade come via d’accesso al traffico, e così la gente del luogo può soltanto utilizzare il fiume come unica via per i mezzi che lo possono attraversare; certamente si utilizzano trasporti tipici della regione, come la long boat, che rende queste bellezze naturali e tradizioni locali una favola per gli stranieri in visita.

Le difficoltà nel raggiungere il territorio sono date anche dalla grande distanza, si naviga per circa tre ore sull’acqua, senza fare un passo, e dal desiderio di fermarsi per saperne di più, soprattutto riguardo le tradizioni locali presenti. Sono proprio queste le sfide che possono divenire la ragione per una maggiore spinta.

OSPITALITA’ LOCALE. Ed una di queste usanze, che ho avuto modo di conoscere da vicino questa volta, è la cerimonia di benvenuto per gli ospiti o, come viene chiamata dalla gente locale, il rituale Tiik’ng. Si tratta di una tradizione ancestrale che è stata tramandata di generazione in generazione all’interno della comunità di etnia dayak Beka’eh, un ramo della tribù dayak Bidayuh.

La cerimonia si tiene ogni qualvolta vi è un ospite in arrivo, quale espressione o manifestazione di gioia e rispetto da parte della popolazione. Essi credono che gli insegnamenti dei loro avi siano ricchi di bontà ed alte virtù, a conferma del fatto che ogni persona presente in mezzo a loro è una benedizione inviata da Dio Onnipotente, o Jubata. Lo scopo dello svolgimento del rituale Tiik’ng è quello di proteggere e preservare gli ospiti da eventuali disagi durante la loro visita al villaggio.

L’OSPITE COME BENEDIZIONE DIVINA. “Noi siamo convinti che l’ospite sia una benedizione che ci è stata mandata da Dio, per questo dobbiamo rispettarlo e tutelarlo come se facesse parte della nostra famiglia. Come dice anche un proverbio, l’ospite è un re, e questo è vero, quindi noi dobbiamo servirlo nel miglior modo possibile,” afferma un residente.

Il rito tradizionale, che si tiene anche comunemente in occasione di grandi cerimonie come il Nyobeng ed il Mit Podi Ba’uh, ha due fasi di attuazione. La prima è il rituale crudo. Nel corso di questa sessione il Capo Tribù chiede ad alcune persone di preparare gli strumenti musicali tradizionali, come il gong ed il tamburo lungo, che verranno in seguito suonati come accompagnamento all’evento. In seguito raccoglie gli ingredienti e le spezie richieste, le quali comprendono foglie di simpur, foglie di betel, noci di areca, estratto di betel, banane, piante sarchiate, un pollo, senza dimenticare il vino a base di riso glutinoso.

“Gli ingredienti ci devono essere tutti poiché, se ne manca anche uno solo, si possono creare disguidi, non solo per gli ospiti, ma anche per la gente del villaggio,” spiega il signor Tongah, il Capo del borgo di Bumbung, che guida la cerimonia.

Quando tutto è stato raccolto, i materiali vengono miscelati, divisi a formare tre parti, e poi sistemati sulle foglie di simpur. A questo punto anche gli strumenti musicali tradizionali vengono suonati, la comunità del luogo li chiama Mogotn, il loro suono mira a richiamare gli spiriti maligni.

Intento a pronunciare mantra, il Capo Tribù versa il vino dalla brocca in un bicchiere e lo beve. Il betel, l’estratto e le noci di areca vengono masticate, in un processo molto simile in generale a quello della tradizione Nyirih degli anziani in Indonesia. Il pollo viene tagliato ed il sangue è lasciato gocciolare sui materiali e gli strumenti musicali.

“Ciò ha lo scopo di nutrire gli spiriti maligni, cosicché non arrechino disturbo gli ospiti,” dichiara il signor Tongah.

L’anziano uomo si avvicina al palco costruito per accogliere gli ospiti venuti in visita, mentre legge nuovamente i mantra. Dopodiché prende uno degli ingredienti su cui è colato il sangue di pollo e lo pone a lato degli strumenti musicali. Il rituale crudo è concluso, e si entra allora nella seconda fase, ovvero il rituale di cottura.

In quest’occasione, quasi tutto il processo da seguire per il rituale di cottura è lo stesso di quello precedente. Soltanto che il pollo viene pulito e cotto, poi gli ospiti sono chiamati sul palco. Nell’attesa che il pollo sia pronto, il Capo Tribù rivolge preghiere e ringraziamenti alle persone ospitate, una ad una. Infine si mangia il pollo tutti assieme, quale rito di chiusura a conclusione di tutti i rituali attuati in precedenza.


Profilo dell'autore

Jemy Haryanto
Sono nato e vivo tutt'ora in Indonesia. Una nazione plurale, multiforme, con migliaia di isole, migliaia di tradizioni, di etnie, di lingue locali. Sono 11 anni che lavoro nel mondo del giornalismo, ho iniziato da un piccolo giornale locale, per poi diventare inviato televisivo per un'emittente nazionale. Ora, oltre a scrivere per Frontiere News, lavoro come giornalista full time per un rivista internazionale, e faccio anche il Freelance. Sono sposato con una donna italiana, che mi continua a dare l'energia per scrivere. Non sono un amante della politica, ma nei miei articoli cerco di trasmettere il mio amore per la natura, le tradizioni e le usanze dei popoli.

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