Si fa presto a chiamarla lingua neolatina! Gli arabismi nell’italiano quotidiano

Quanto c’è di arabo nelle nostra lingua? Quanto nelle nostre espressioni quotidiane? Alcune prove di quest’influenza nella nostra vita di tutti i giorni.

Negli ultimi anni si discute dell’influenza della cultura araba e sopratutto della lingua, l’arabiyya, in quella italiana. Già nel 1919 l’arabista spagnolo Miguel Asín Palacios ipotizzò un ispirazione islamica nella Divina Commedia dell’europeissimo e cristianissimo Dante Alighieri, una questione ancora in sospeso per gli esperti di letteratura italiana. Appurata è invece l’influenza che la letteratura araba ebbe sulla scuola siciliana e sul concetto di amor cortese, fenomeni fondamentali per la nascita della nostra lingua.

Ma, tralasciando le questioni filologiche, è importante sottolineare quante parole di origine araba utilizziamo, senza accorgercene, ogni giorno: al mercato, in cucina, parlando di arredi e persino giocando a scacchi. Partiamo proprio da quest’ultimo contesto.

Quando, giocando a scacchi (dall’arabo as-Shaĝ) il vostro avversario muoverà l’alfiere (al-Fâris da Faras, cavallo) ponendolo in attacco diretto al re, esclamerà “Scacco matto!”, non solo avrete perso la partita, ma anche pronunciato tre arabismi. Questa espressione tipica degli scacchi è infatti di derivazione arabo-persiana: ash-Shāh Māt, letteralmente “lo shah (il re) è morto”. Gli scacchi sono infatti un gioco di origine indiana arrivato a noi dagli arabi di Spagna, passando per la Persia.

Ma sarà al mercato, volendo esagerare, al bazar, che ci sentiremo più arabofoni che mai. Innanzitutto, ricordatevi il taccuino (da Taqwin, “ordinata disposizione”) con la lista della spesa. Entrando, noterete bizzeffe (da bizzef, “molto”) di ragazzi (da raqqas, “messaggero”) cercare di vendere la propria merce amalgamata (da amal al-Dgiam’a, amal “opera” e dgiama “coniugazione”) nei diversi banchetti. Uno di loro potrebbe dirvi che ha un altro quintale (da qintal) di quel prodotto in magazzino (da maĝsan, “luogo dove riporre e custodire”). Un altro che il giubbino (da ĝubba, “sottoveste di cotone”) che tanto vi piace è ricamato (da raqama) a mano e arriva da lontano, e ha passato tutte le dogane (da diwan, stessa parola da cui deriva il nostro divano) regolarmente.

Potremo poi dirigerci verso il fruttivendolo, e che si compri un’albicocca (al-Barquq), un limone (Laimun) o un’arancia (Narangi) l’etimologia rimanderà sempre verso oriente. Stessa situazione con la verdura, che siano carciofi (qarshiufa) o spinaci (as-Spanakh). Per non parlare poi dello zafferano (az-Za’fara) e dello zucchero (Sukkar) o dei venetissimi bagigi (da habb “bacca” e asiz “rinomato”: la bacca pregevole).

Al momento di pagare, se le cifre (da sifr, “vuoto” o “zero”) del prezzo sono troppo alte, potreste dare del meschino (da miskin, “povero”) al commerciante, con il rischio (da rizq) però di farlo infuriare. Non dimenticatevi, andandovene, di lamentarvi delle tariffe (da ta’rif, “dichiarazione”) troppo alte dei trasporti pubblici.

Tornati a casa, valicato lo zerbino (da zirbiy, “tappeto”, “cuscino”), regalatevi calda una tisana in tazza (da ‘tassah, “bacino”) prima del meritato riposo nel vostro caro materasso (da al-Ma’tra’, “luogo nel quale si pone o si getta qualcosa”). E quando vostro figlio/a vi dirà di aver preso un brutto voto in algebra (da al-Giabr) e lo sgriderete, lui/lei vi risponderà “Stai sciallo/a!” (dall’espressione Insh-Allah, “Se Dio vuole”) e avrete appurato quanto la lingua araba ha influenzato e influenza la nostra lingua.

Stefano Zambon


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