In Botswana decine di boscimani a rischio sfratto possono, per il momento, tirare un sospiro di sollievo. Dopo le minacce del Consiglio locale, che per aprire un “corridoio ecologico-faunistico” aveva intimato alla compatta e solidale comunità boscimana di Ranyane di cercarsi un altro luogo in cui vivere, è arrivata infatti la risposta della Corte Suprema.
LA SENTENZA – Questa, dopo aver bloccato le operazioni di sfratto e fatto sgomberare i camion della polizia dal posto, ha stabilito che nessun funzionario governativo potrà entrare nel territorio dei boscimani senza il loro consenso, che il loro pozzo d’acqua non potrà essere smantellato senza preavviso e che ogni ulteriore tentativo di trasferirli dovrà essere precedentemente comunicato ai loro avvocati. Il progetto del “corridoio” era, tra l’altro, una motivazione alquanto sospetta, visto il rapporto di reciproco rispetto che questa popolazione estremamente semplice aveva instaurato con la natura circostante; la vera motivazione, secondo molti, è da ricercare negli interessi degli allevatori locali.
“Quanti altri processi ci vorranno perché i diritti umani prevalgano in Botswana?” si è chiesto il direttore generale di Survival International, Stephen Corry. “Non è ora che il presidente Khama metta fine una volta per tutte agli sfratti dei boscimani, i primi cittadini del Botswana?” Da notare che proprio il presidente Ian Khama è tra quelli che sostengono il “corridoio”, facendo infatti parte del C.I. (Conservation international), che da anni promuove il progetto.
Il trasferimento forzato di popoli dalle loro terre di origine ha impatti devastanti sia sull’ambiente che sul popolo stesso, che diventa dipendente dagli aiuti governativi in tutto e per tutto, creando quindi costi maggiori per la gestione di un paese.
PRECEDENTI – Questa non è la prima volta che il popolo boscimano rischia l’estromissione: tra il 1997 e il 2005, migliaia di boscimani furono cacciati dalla Central Kalahari Game Reserve mediante violente operazioni di sfratto giustificate sempre con la facile scusa di voler salvaguardare l’ambiente. Nel 2002, all’ennesimo sfratto, i boscimani cacciati trascinarono il governo in tribunale, ottenendo nel 2006 una sentenza con la quale la Corte Suprema del Botswana riconobbe la “illegittimità e incostituzionalità” degli sfratti.
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