Un religioso moderato che raccoglie simpatie fra i riformisti. L’Iran ha scelto il successore di Ahmadinejad: è Hassan Rouhani, ex Segretario del consiglio supremo della sicurezza nazionale, che grazie al 50,6% dei consensi raccolti al primo turno, è stato proclamato dal ministro dell’Interno Mostafa Mohammad Najjar, presidente della Repubblica islamica dell’Iran. Rouhani ha ottenuto oltre 18 milioni di preferenze su 37 milioni di votanti, distanziando di gran lunga tutti i suoi sfidanti: dal popolare sindaco di Teheran, Mohammad Baqer Qalibaf, fermo al 15% dei consensi, fino ai delfini dell’Ayatollah Ali Kahmenei, il negoziatore per il nucleare Said Jalili (12%), il consigliere diplomatico della Guida, Ali Akbar Velayati (6%).
“La massiccia affluenza alle urne rende frustrati i nemici dell’Iran” aveva twittato stamattina sul suo profilo ufficiale la guida suprema Ali Khamenei. L’alta affluenza di ieri, superiore al 72 % aveva infatti costretto il governo a prolungare di cinque ore l’apertura dei seggi, scatenando le ironie su alcuni siti ostili al governo,“Ancora una volta i succhi di frutta offerti ai votanti e i biglietti dell’autobus hanno funzionato”. In gran parte della popolazione ancora è viva la delusione per i presunti brogli del 2009 che portarono alla seconda elezione di Mahmoud Ahmadinejad a danno di Mousavi, scatenando l’ondata di proteste del Movimento Verde, duramente repressa nel sangue dalle autorità.
Per questo mentre il voto dei conservatori si è diviso su 4 candidati, Hassan Rouhani, l’unico religioso fra i sei candidati ammessi alle elezioni dal Consiglio dei Guardiani, è riuscito a convogliare su di sé tutte le speranze dei riformisti, forte anche del sostegno dei due ex presidenti, Akbar Hashemi Rafsanjani, che lo scorso 22 maggio si era visto respingere la propria candidatura per la presidenza dal Consiglio dei Saggi, e Mohammad Khatami. E proprio da Kahtami al neo presidente sarebbe arrivata, secondo informazioni non ufficiali, la prima richiesta: quella di festeggiare la vittoria elettorale con la liberazione dei leader dell’opposizione riformista, Mir Hossein Mousavi e sua moglie Zahra Rahnavard e Mehdi Kharoubi, costretti da due anni agli arresti domiciliari senza aver subito un processo.
Speranza e prudenza sono le parole che hanno accompagnato la campagna elettorale di Rouhani, una campagna paradossale fra duelli in tv modalità quiz show e cinguetti su Twitter, vietato alla gran parte della popolazione, che per superare i blocchi governativi è costretta a utilizzare dei filtri sempre più sofisticati, ma largamente utilizzato dall’estabilshment governativo e religioso. La sua elezione, ora, potrebbe disegnare scenari nuovi all’interno della politica iraniana, aprendo le porte sempre di più all’Europa e agli Stati Uniti, come chiede una buona parte della popolazione. La sua vittoria, infatti, è vista come un no fermo alle politiche nucleari avallate da Ahmadinejad, da sempre acerrimo nemico di Rouhani, e dalla Guida Suprema Ali Khamenei, che hanno portato alle dure sanzioni imposte dalla comunità internazionale, gettando il Paese in una crisi economica sempre più stringente.
Marco Carta
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