Un maggiore militarizzazione delle frontiere tra Usa e Messico come contropartita alla regolarizzazione di 11 milioni di immigrati.
Giovedì 20 giugno democratici e repubblicani hanno raggiunto un accordo che farà passare al Senato un disegno di legge per il quale si spera nella più ampia maggioranza. Si tratta di un costoso intervento di potenziamento militare per assicurare il confine messicano là dove presenta smagliature, punti deboli e più facilmente accessibili. Nello stesso disegno di legge al contempo è previsto un percorso attraverso il quale conferire la cittadinanza a 11 milioni di immigrati clandestini per i quali rappresenterebbe una possibilità di uscire dall’illegalità.
Democratici e repubblicani insistono perché la misura assumi carattere prioritario nell’agenda di politica interna di Barack Obama, il quale ha di recente incontrato i vertici del Partito democratico per discutere del tema, e ha voluto rimanere costantemente al corrente degli sviluppi durante il suo viaggio in Europa.
“Scarponi a terra e droni in cielo” ha dichiarato alla «Associated Press» il democratico Chuck Schumer, senatore per lo Stato di New York. Sintesi efficace per descrivere quanto l’accordo prevede: il raddoppiamento delle misure di sicurezza ora in atto, ovvero 20.000 nuovi effettivi tra le guardie di frontiera, 18 droni, 570 km in più di recinzioni oltre a un consistente schieramento di dispositivi fissi e mobili atti a garantire la sorveglianza.
Il progetto dovrebbe costare nei prossimi dieci anni 25 miliardi di dollari per i nuovi agenti, 3 miliardi per le recinzioni e altri 3,2 miliardi per misure diverse, anche se qualcuno già considera che negli stessi anni la cifra necessaria potrebbe raggiungere i 40 miliardi di dollari.
“È quello che vogliono gli americani ed è ciò che dobbiamo fare” sostiene John Hoeven, senatore del North Dakota, che con Bob Corker, senatore del Tennessee, ha presentato il disegno di legge. Anche se al Chicago Tribune, Corker ha poi ammesso che la misura potrebbe apparire come un “apparato persino eccessivo”. Tra le fila dei sostenitori, fa eco il senatore del South Carolina Lindsey Graham, che giustifica la spesa affermando che il denaro viene speso per salvaguardare il denaro dei contribuenti. E in effetti, come riporta il «Wall Street Journal», stando ai calcoli del CBO (Congressional Budget Office) tale misura comporterebbe una restrizione del deficit di 175 miliardi di dollari nei primi dieci anni e di 670 miliardi di dollari nelle succesive decadi. Perché un maggior numero di cittadini americani significa semplicemente un maggior numero di contribuenti, irregimentati in quel flusso costante di lavoratori in regola, di cui gli Stati Uniti avrebbero bisogno secondo il quotidiano finanziario.
Ciò che potrebbe però metter tutti d’accordo al Senato e poi alla Camera, è il percorso di riforma per l’ottenimento della cittadinanza statunitense. Potrebbe. Perché se anche il «New York Time», il «Washington Post» e lo stesso «Wall Street Journal» ne parlano come di un accordo bipartisan, i senatori repubblicani stanno ancora cercando proprio tra le loro fila quella larga maggioranza che non è del tutto ancora garantita.
Mentre si cerca un accordo per la riforma sulla cittadinanza, si stima che siano 11 milioni gli immigranti che vivono illegalmente negli Stai Uniti, e che potrebbero risultare idonei a ottenere uno status legale, mentre viene incrementata la sicurezza del confine. A questi però non verrebbe rilasciata la green card, che conferirebbe loro stato di permanenza temporanea, sino a che l’intero confine non sia stato sistemato attraverso il piano di potenziamento. Il che potrebbe effettivamente dare al governo una decade per realizzare l’apparato di sicurezza addizionale, dal momento che la legislazione immagina un percorso verso il conferimento della cittadinanza che fornirebbe agli immigranti uno status provvisorio dopo sei mesi, richiedendo però loro un’attesa di almeno dieci anni prima di potersi ritenere idonei alla green card.
Non sono mancate le resistenze. Il senatore del Texas per esempio, il repubblicano John Coryn ha presentato un emendamento secondo il quale la regolarizzazione di chi attualmente vive illegalmente negli Stati Uniti debba essere avviata soltanto una volta che si possa dir bloccato almeno il 90% del flusso migratorio dal Messico verso gli Usa. E ha richiesto con questo misure ancora più restrittive per porti e aeroporti, volte a monitorare chi entra ed esce dal Paese. Emendamento cassato con 53 voti contrari e 43 favorevoli: il 90% di blocco dell’emigrazione irregolare non dev’essere un requisito ma un obiettivo da raggiungere, sostengono i proponenti.
Di segno contrario è l’opposizione dell’ACLU (American Civil Liberties Union) che definisce l’accordo un massiccio schieramento di truppe “atte semplicemente a devastare le comunità di confine”.
Un voto finale sulla legislazione è atteso per la fine della prossima settimana in Senato. Il passaggio successivo dovrebbe interessare la Camera, dove la maggioranza dei Repubblicani si è strenuamente opposta a garantire il diritto di cittadinanza a quegli immigranti che ancora vivono illegalmente sul suolo degli Stati Uniti.
La Casa Bianca, dal canto suo, nega qualsiasi commento relativo alle proposte avanzate in Senato, nonostante i funzionari del Congresso sostengano che i funzionari dell’Amministrazione siano stati coinvolti nella stesura formale della legge.
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