di Nicole Valentini
Perché parliamo di integrazione e che cosa significa davvero questo termine? Il termine integrazione presuppone che la persona da “integrare” necessiti di essere inserita in un contesto, in questo caso quello sociale, dal quale si trova esclusa.
L’utilizzo di questo termine associato alla persona di cittadinanza non italiana comporta quindi che chiunque provenga da un paese povero (perché certo non si parla di integrazione nei confronti di cittadini tedeschi o statunitensi) necessiti di essere tutelato dall’esclusione sociale.
Per quale motivo una persona necessiterebbe di un’assistenza esterna per prendere parte a quei processi che lo renderebbero membro effettivo della società? Tutto dipende dal punto di vista dell’osservatore. Il termine integrazione avalla e continua a perpetrare una cultura e una politica di divisione tra un fenomeno nuovo quale quello dell’immigrazione e una realtà sociale già esistente.
L’attore dell’esclusione sociale, tuttavia, non è l’escluso ma colui che esclude; per questo se proprio occorresse un aiuto e una politica esterna, questa dovrebbe essere una politica di istruzione per i cittadini italiani in modo da estirpare l’idea malsana che vede ancora i cittadini del mondo divisi in “razze” nonché in esseri umani di serie A e serie B, possibilmente a seconda del colore della pelle, della religione e della condizione economica di appartenenza. Vi sono italiani che necessiterebbero di “integrazione” molto più di tante persone di cittadinanza estera.
C’è, inoltre, una differenza sostanziale tra integrazione e inclusione sociale. L’integrazione tout court prevede la rinuncia alle proprie qualità e caratteristiche culturali a favore dell’assimilazione, mentre l’inclusione presuppone la possibilità di appartenere ad una determinata società mantenendo però al contempo le proprie caratteristiche e prerogative culturali.
Un esempio su tutti: il leghista Roberto Castelli ha definito il poco tollerante giornalista egiziano Magdi Cristiano Allam “un perfetto esempio di integrazione”. Ora sappiamo quali mostri l’integrazione può generare.
In un mondo perfetto ma anche in un mondo perfettibile come il nostro, il concetto di “integrazione” potrebbe essere sostiuito e quello di “inclusione”. Concetto, tuttavia, già superato dal più ampio “collaborazione”.
La collaborazione infatti, permetterebbe ai nuovi arrivati di attingere dalle proprie esperienze, competenze e dal proprio vissuto personale per contribuire attivamente alla crescita sociale, culturale ed economica del Paese. Paese che inizierebbe quindi finalmente a vedere gli individui come potenziali risorse e non più come emergenze da gestire.
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