Le elezioni iraniane del 14 giugno hanno riacceso le speranze di dialogo tra Iran e Occidente. Molti commentatori hanno accolto favorevolmente la vittoria del moderato Hassan Rouhani, votato dal 50,7 per cento degli iraniani. Le elezioni hanno rivitalizzato la vita politica del Paese, alimentando una rinnovata fiducia nelle istituzioni da parte di molti iraniani che, tuttavia, aspettano di vedere all’opera il nuovo presidente, soprattutto in merito alle tematiche economiche.
di Luigi Di Martino
L’ECONOMIA IRANIANA, TRA CAROVITA E SANZIONI – Rouhani, infatti, durante la sua campagna elettorale, ha promesso maggiore stabilità in tema di programmazione economica, imputando a Mahmoud Ahmadinejad, la mancanza di un piano a lungo termine. Va da sé che il risanamento economico promesso dal neoeletto presidente si scontra con le difficoltà economiche attuali. I cittadini, infatti, si sono visti aumentare in maniera esponenziale i prezzi di alcuni beni primari, a partire dagli alimenti. L’inflazione, al 22 per cento nel giugno 2012, è quasi raddoppiata raggiungendo il 34 per cento alla fine dell’anno iraniano, il 19 marzo, come comunicato dalla Banca Centrale Iraniana. Sebbene per alcuni commentatori abbia già superato il 40 per cento. Di sicuro c’è che Rouhani ha davanti a sé una delle situazioni economiche peggiori che l’Iran abbia vissuto negli ultimi 20 anni, con un’alta inflazione che colpisce inesorabilmente i bassi e medi redditi.
La causa va ricercata principalmente nelle sanzioni imposte all’Iran, circostanza aggravata dalla riforma sui sussidi sociali portata avanti da Ahmadinejad. Il presidente uscente, infatti, ha tagliato drasticamente alcuni sussidi sull’acquisto di beni come il carburante e il cibo, aumentando così gli effetti dell’inflazione. Allo stesso tempo l’industria ha visto raddoppiarsi i costi della bolletta energetica, causando la conseguente recessione dovuta all’insostenibilità dei costi di produzione.
L’EREDITA’ DI AHMADINEJAD – L’eredità lasciata da Ahmadinejad a Rouhani comprende l’1,9 per cento di contrazione economica nel 2012, più di tre milioni di cittadini disoccupati, 400 miliardi di dollari di debiti, un deficit di bilancio di 60 miliardi di dollari nello scorso anno, il dimezzamento delle esportazione di greggio e un calo del valore della moneta nazionale del 40 per cento nel 2012. Se ciò non bastasse, la Banca Centrale Iraniana ha deciso di eliminare il prezzo di favore del dollaro in rial per l’importazione di beni vitali, come medicine e alimenti. Questa decisione avrà come conseguenza un ulteriore aumento dei prezzi, aggravando l’attuale congiuntura negativa.
Tuttavia, il governatore della Banca Centrale, Mahmoud Bahmani, ha voluto rassicurare il popolo iraniano, sottolineando che si sta lavorando in tre direzioni per ridurre l’inflazione, attraverso la vendita di obbligazioni e di oro, riducendo contemporaneamente la liquidità immessa nel mercato. Quanto dichiarato da Bahmani sembra contrastare alcune indiscrezioni che lo accusano di aver immesso sul mercato un’alta quantità di dollari per abbassare il tasso di cambio tra Dollaro e Rial, come effettivamente avvenuto nei giorni successivi alle elezioni. Tuttavia, questa manovra, smentita dal diretto interessato, è destinata ad avere una durata breve, dato che il rapporto tra le due monete è tornato ad aumentare. Se tali indiscrezioni venissero confermate, significherebbe che Ahmadinejad sta effettivamente tentando di lasciare al nuovo eletto Rouhani un prezzo del dollaro minore, senza però ottenere risultati efficaci sul lungo termine. Infatti, una volta che Rouhani prenderà possesso della sua carica ad Agosto, si renderà facilmente conto che l’immissione di dollari sul mercato è insostenibile sul lungo periodo, costringendolo a tornare all’attuale situazione di cambio. Il tentativo di abbassare il tasso di cambio per ridurre il debito in Rial sarà così un ulteriore problema che si presenterà all’insediamento di Rouhani. Inoltre, l’impossibilità di intervenire sulla questione del tasso di cambio confermerà la tesi che Ahmadinejad ha sostenuto fino ad oggi, cioè che non è stato possibile attuare una ripresa economica interna a causa delle pressioni esterne messe in campo dai nemici dell’Iran.
Tralasciando le diatribe della politica interna, Ahmadinejad ha sicuramente ragione su una cosa: l’attuale affanno dell’economia iraniana dipende dalle sanzioni che hanno portato a una drastica riduzione dei ricavi petroliferi, vera ancora di salvezza del Paese, rendendo complicato il trasferimento di valute forti nel paese.
L’ENTUSIASMO PER IL ‘NUOVO’ SI SCONTRA CON I DATI REALI – Così, le promesse elettorali di Rouhani, che hanno riacceso le speranze di molti iraniani, si scontrano con i dati attuali. La questione centrale, anche in politica economica, sembra ora coincidere con le trattative sul nucleare iraniano, causa delle sanzioni di Stati Uniti, Unione Europea e Nazioni Unite. In questo senso, i provvedimenti che il neoeletto presidente attuerà in politica estera saranno fondamentali per fermare l’aumento dell’inflazione. Lo scacchiere internazionale, anche con la nuova presidenza, continuerà a giocare un ruolo importante per la risoluzione dei problemi interni. Ciononostante, il compito di Rouhani sarà reso difficile dal sistema di governo iraniano, dove gli esteri e la difesa rimangono prevalentemente in mano ai religiosi al potere e ai loro influenti protettori, i Guardiani della Rivoluzione, la milizia dalla forte fede religiosa, devoti al defunto ayatollah Khomeini.
L’entusiasmo dei primi giorni sta drasticamente scemando per lasciare spazio a più realistiche preoccupazioni: le sanzioni sono ancora lì, mentre il presidente Rouhani deve ancora iniziare il suo percorso governativo di quattro anni. Così, mentre nei bazar la gente non compra in attesa di miracolosi cali di prezzo, Rouhani non può far altro che abbandonare le promesse elettorali e avvertire i suoi connazionali che i problemi economici non potranno essere risolti “da un giorno all’altro”.
La festa che ha accompagnato per le strade di Teheran l’elezione del nuovo presidente, ora deve fare inesorabilmente i conti con la realtà dei fatti. La maggior parte dei ruoli chiave all’interno dell’apparato governativo sono ancora ricoperti dai fedelissimi della Rivoluzione che difficilmente cederanno davanti alle rivendicazioni occidentali sul nucleare iraniano.
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