La condizione psicologica del migrante, in Italia come in altri Paesi del mondo, è sottoposta a una serie di fattori quali le cause della migrazione, che variano caso per caso, i punti di riferimento nella nazione che ospita l’emigrato e quelli che, invece, egli lascia nel Paese di origine. Per comprendere correttamente lo stato emotivo del migrante va considerato, infatti, il grado di allontanamento dalla famiglia che resta in patria, e il modo col quale chi espatria affronta le fasi del processo migratorio. È di fondamentale importanza, al fine di supportare l’inserimento dell’emigrato, essere anche a conoscenza del tipo di lavoro che svolge, attività che può diventare un utile tramite verso l’integrazione o, al contrario, può peggiorare la condizione di isolamento. Di questo e di molto altro ci ha parlato la dottoressa Leticia Marin, esperta in Psicologia Transculturale e Terapia Razionale Emotiva e Comportamentale. Messicana, vive ed esercita la sua professione fra l’Italia e il suo Paese d’origine, Leticia ci ha accompagnato in un percorso di conoscenza delle problematiche che ruotano attorno ai migranti e alle loro famiglie.
Dottoressa Marin, secondo la sua esperienza qual è il profilo del migrante e quali sono le prime difficoltà alle quali va in contro in fase migratoria?
In generale chi emigra è molto forte, ha una grinta speciale per fare questo passo, e ha una solvenza economica importante nel proprio Paese, altrimenti non potrebbe emigrare. Non parlo certamente dei rifugiati o della gente che si vede costretta a scappare a causa di conflitti scoppiati nella propria nazione. La maggior parte delle persone che seguo in Italia sono pazienti di sesso femminile, cioè donne emigrate che hanno bisogno di sostegno psicologico per ambientarsi nella nuova realtà sociale nella quale vivono. Il processo migratorio è sempre molto traumatico: ad esempio le donne che lasciano i figli nel Paese d’origine non esercitano la loro “professione” di madri, e sono costrette ad assumersi la responsabilità economica della propria famiglia perché spesso vengono abbandonate dai loro compagni prima o subito dopo la partenza. Non va sottovalutato, inoltre, il problema del riconoscimento del titolo di studio in Europa: per gli stranieri è difficile svolgere la professione per la quale hanno studiato in patria. Le difficoltà di adattamento peggiorano anche con l’avanzare dell’età: per i ragazzi è più semplice imparare e integrarsi, ma da grandi le possibilità sono più limitate.
Quali sono le fasi del processo migratorio?
La prima può cominciare come un sogno infantile, può sorgere indotta dall’emigrazione dei genitori o di qualche conoscente. Poi c’è il viaggio, rischi inclusi. Un esempio per tutti: in Messico i narcotrafficanti circuiscono le donne e poi le sequestrano per chiedere un riscatto alla famiglia che, però, ha già speso tutto per il viaggio. Quindi, sovente le sfruttano come prostitute. La terza fase è l’arrivo nel Paese di destinazione. Il quarto stadio è quello della cosiddetta “luna di miele”: l’emigrato vede tutto bellissimo, resta stupito di ogni cosa e il sogno diventa più forte. A questo momento idilliaco, però, segue lo shock culturale che avviene quando si comincia a prendere contatto con la realtà. La fase del conflitto è molto forte a livello disfunzionale e condiziona il percorso di adattamento. Il momento della nostalgia, della confusione poi, è dolorosissimo: il migrante pensa solo al suo Paese, lo idealizza, sente la mancanza della sua terra, vuole tornare ma non può, sarebbe un fallimento. Man mano che passa il tempo subisce il colpo della perdita; quindi inizia la fase della cosiddetta elaborazione del lutto nella quale rabbia, depressione e frustrazione sono alle porte. In questo frangente, proprio quando possono subentrare seri problemi emotivi, entra in gioco il ruolo dello psicologo che aiuta il migrante a superare il “lutto” e a iniziare le fasi di integrazione col nuovo ambiente senza però perdere di vista la cultura di origine. Io non mi sento italiano ma per fortuna o purtroppo lo sono cantava Giorgio Gaber. Negare il Paese che ci sta accogliendo è molto comune. Qualsiasi migrante cerca di conservare la propria identità culturale ed è giusto che sia così, ma la vera integrazione sarebbe un’utopia se non si lavorasse sul concetto della biculturalità.
Quindi, cosa suggerisce ai migranti?
Sto lavorando a un libro che si chiamerà “Il manuale del migrante” proprio per far comprendere che quanto accade a chi emigra è normale, e che il progetto migratorio va modificato giorno per giorno. Ai migranti dico: non provate rabbia verso chi rappresenta l’autorità nel Paese ospitante; non colpevolizzate i vostri governi che non sono stati capaci di assicurarvi un tenore di vita tale da evitare la migrazione; accettate la biculturalità: dovreste entrare nell’ottica di idee che da quando avete fatto la valigia e messo piede fuori dal vostro Paese di origine avete smesso di essere latinoamericani al 100% a favore di un arricchimento culturale fatto di nuove abitudini e di nuove conoscenze provenienti dal luogo nel quale andrete a vivere. Con due culture doveste considerarvi più ricchi!
Il migrante spesso ricomincia la sua esistenza partendo da zero e lasciando la precedente vita nel suo Paese d’origine. Quali sono le reazioni a questa condizione?
Tutte le persone – migranti e non – nel corso della propria vita trasformano la loro identità senza rendersene conto fino a quando, guardando il passato attraverso le proprie fotografie, trovano amici di vecchia data, riconoscono un proprio sé antico, passato. Quando accade un evento importante come la migrazione, l’identità si trasforma in modo repentino e i cambiamenti sono più evidenti. Spesso, questi colossali mutamenti permettono il manifestarsi di una personalità molto più matura. D’altro canto, l’identità resta solo una, certamente più ricca, ma da gestire tra due culture. È qui che può iniziare il calvario: il migrante appena arrivato – non avendo punti di riferimento nella società di accoglienza – percepisce con maggior sensibilità qualsiasi rifiuto o incomprensione. Col passare del tempo inizia un processo di adattamento alla nuova cultura, mentre si va trasformando la propria identità. È in questo frangente che il migrante rischia di subire il rifiuto della famiglia di origine rimasta in patria a causa del suo tempestivo cambiamento che, con la distanza, diventa più sorprendente. Scatenano la riluttanza della famiglia, ad esempio, la perdita dell’accento della lingua madre, il cambiamento del modo di vestire, di mangiare, ma anche lo schiarimento della pelle. In alcuni casi i contatti coi parenti lontani sono interrotti completamente perché il migrante si sente ogni giorno più indipendente, oltre ad aver sviluppato, proprio grazie al processo migratorio, meccanismi di difesa di cui prima non disponeva.
Quali sono le condizioni più comuni di disagio sulle quali lavora?
Oggigiorno assisto immigrati e italiani che presentano sintomi relazionati alla dipendenza affettiva e traumi collegati all’attuale crisi economica. Curo persone propense a presentare stati d’ansia, attacchi di panico perché sono state licenziate, sono vittime di mobbing, oppure sono in cassa integrazione. Queste situazioni impediscono la pianificazione di progetti futuri, o il ritorno nel proprio Paese, nel caso dell’immigrato. Esistono anche situazioni nelle quali i migranti presentano un quadro depressivo. Questi pazienti sono a rischio di comportamenti gravi verso se stessi fino al suicidio, in quanto difficilmente riescono a chiedere aiuto. Sono, infatti, i loro parenti – se si trovano in Italia anche loro – a rivolgersi allo sportello di orientamento psicologico. Questi migranti dimostrano una sintomatologia ansiosa che porta loro al pensiero della fuga come unica via d’uscita. Tornando in patria, però, il loro stato emotivo peggiora a causa della frustrazione maturata per via di un progetto migratorio mai completato. Purtroppo va detto che il fenomeno dei suicidi tra i migranti è silenzioso, spesso perché tacitato dai media.
La famiglia che emigra: quali sono le fasi del distacco e del ricongiungimento?
Nelle famiglie latinoamericane sono le madri a emigrare per prime verso l’Italia, lasciando i propri figli con il marito, se è ancora presente, o con la nonna che torna per la seconda volta a essere madre, ma del proprio nipote. A volte i figli restano a carico della sorella più grande, seppure minorenne, o addirittura della vicina di casa. Inizialmente la madre progetta di rimanere in Italia solo per due o tre anni, ma gli ostacoli che si presentano, tanto burocratici, quanto relativi alla vita quotidiana impediscono la realizzazione del suo progetto nel tempo stabilito. Di conseguenza si arriva alla conclusione di portare in Italia i figli che subiscono un doppio distacco, anzitutto dalla madre, e poi da chi si è preso cura di loro nei primi anni di emigrazione del genitore. La madre non può portare tutti i figli nello stesso momento, quindi fa emigrare prima quello che sta per compiere la maggiore età, per via della documentazione più semplice da produrre, lasciando per ultimi i più piccoli che continueranno a crescere senza madre e, quando finalmente arriveranno in Italia, dovranno fare i conti con una mamma cambiata alla quale non sono abituati, con una cultura diversa dalla propria nella quale sarà difficile inserirsi.
I matrimoni di coppie miste sono un fenomeno sempre più diffuso in Italia. Cosa devono sapere “gli innamorati” prima di intraprendere un percorso di vita insieme?
Anzitutto devono essere sicuri di amarsi l’un l’altro, ma questo vale per tutte le coppie. Poi devono essere aperti alla cultura di provenienza dell’altro, senza cadere nella trappola di colpevolizzare l’altro ogni volta che nella coppia si evidenziano differenze caratteriali. Un passo importante è mettersi d’accordo sull’educazione dei figli prendendo il meglio da ciascuna delle due culture di provenienza. Se è possibile, consiglio di viaggiare per lungo tempo nel Paese d’origine dell’altro per conoscerne la lingua e le abitudini, mostrando sempre rispetto per le disuguaglianze. Solo in questo modo sarà possibile sviluppare un sano processo d’integrazione anche all’interno della nuova famiglia.
Quanto conta l’orientamento psicologico rivolto al migrante?
È fondamentale, soprattutto nelle prime fasi del processo migratorio, quando il migrante è appena arrivato in Italia, per poi accompagnarlo a fare le sue prime esperienze nel nuovo Paese. Con il supporto psicologico l’emigrante comprende meglio quello che gli sta accadendo, riesce a controllare le sue emozioni disfunzionali, supera la solitudine e cambia in modo assertivo il suo progetto migratorio per poi cercare di integrarsi nella nuova società – ormai multiculturale – che lo circonda.
Ci racconta l’esperienza di lavoro per il gruppo della trasmissione radiofonica “Hola mi gente-Ciao Amici”?
Sono responsabile del servizio di orientamento psicologico del programma “Hola mi gente-Ciao amici” di Radio Vaticana (FM 93.3 – Roma, ndr) che va in onda tutti i giovedì alle 11,30. La partecipazione al programma e il conseguente sostegno al migrante si manifestano a più livelli: durante la trasmissione intervengono i sudamericani che vivono in Italia, in altre occasioni riceviamo richieste di sostegno tramite mail da migranti che si trovano in altri stati, negli USA, per esempio. In altre ancora, collaboriamo con parenti rimasti in patria.
Esistono forme gratuite di sostengo al migrante?
Sì, esistono diverse associazioni di supporto ai migranti, ad esempio la Caritas Italiana e l’Associazione Solidarietà con l’America Latina onlus (SAL). Presso la sede di quest’ultima struttura abbiamo avviato uno sportello di orientamento psicologico alle famiglie migranti e alle coppie miste. Inoltre, lavoriamo con gruppi di auto-mutuo aiuto e offriamo formazione ai giovani migranti.
Maggiori informazioni
La dott.ssa Leticia Marin esercita la professione presso lo studio di consulenza privata in via Monza, 9 a Roma e si occupa di terapia di sostegno psicologico in tutto il mondo attraverso Skype. Collabora anche con il Centro Italiano Sviluppo Psicologia, con Radio Vaticana, con il Centro Interdisciplinare di Comunicazione Sociale della Pontificia Università Gregoriana (Roma), con lo studio medico St. Costanza di Roma e con l’Associazione Solidarietà con l’America Latina onlus (SAL) che si trova a Roma in via Cesare Baronio, 61 (www.saldelatierra.org). Info: psicologiaiuto@gmail.com
Loredana De Pace
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HOLA MI GENTE- CIAO AMICI, IL PROGRAMMA RADIO DEI LATINOAMERICANI IN ITALIA FM 93.3, va in onda il martedì e il giovedì dalle 11.30 alle 12.00 (replica alle 21.50) su 93.3 FM (Radio Vaticana). Si può anche ascoltare in diretta streaming : http://www.radiovaticana.org/it1/diretta.asp (channel 1). Il programma della Dottoressa Marín va in due giovedì al mese. Per saperne di più visitate il nostro Facebook: https://www.facebook.com/Holamigenteciaoamici/info