Pakistan: la storia di Maria, sportiva che ha sfidato i talebani per praticare squash

Nella regione ultraconservatrice pakistana del Waziristan del Sud nascere donna equivale, nella maggior parte dei casi, ad esser privati già dalla nascita delle basilari libertà di un essere umano. Ciononostante non mancano storie di donne che hanno sfidato i fondamentalismi religiosi per uscire dal “ghetto” ed emanciparsi per l’acquisizione dei loro diritti. Un caso esemplare è quello di Maria Toor Pakay, una giovane donna che si è dovuta fingere uomo per giocare a squash. Questo, come tanti altri sport, è considerato un disonore quando viene praticato da rappresentati di sesso femminile.

LA STORIA – In un’intervista alla BBC Maria racconta la sua passione per lo sport, le discriminazioni e le umiliazioni subite, nonché il trasferimento in Canada per poter realizzare il suo sogno. All’età di 4 anni Maria è già una piccola ribelle insofferente ai ruoli tradizionali; vuole essere come suo fratello, libera di giocare con gli altri ragazzi. Quindi un giorno decide di vestirsi come lui, si taglia i capelli e brucia tutti i suoi vestiti da bambina. Da quel momento il padre da alla bambina il soprannome di Gengis Khan, nome con il quale la piccola Maria crescerà fingendosi maschio.

A 12 anni Maria vince il campionato junior di sollevamento pesi. La sua forte passione per lo sport la porta in seguito ad appassionarsi per lo squash, sport praticato in Pakistan a livello nazionale ma riservato ai soli uomini. Il padre iscrive la figlia all’accademia di squash della Pakistan Air Force, ma nel momento in cui viene richiesto il certificato di nascita si scopre la reale identità della ragazza. Il direttore non si scompone e anzi le regala una rachetta autografata dal campione canadese Jonathan Power; inoltre lo stesso le consente di rimanere nell’accademia autorizzandola a partecipare ai campionati.

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LA SFIDA AI TALEBANI – Dal momento in cui si viene a sapere della reale identità di Maria,  lei e la sua famiglia iniziano a ricevere varie minacce di morte in quanto una donna che pratica lo squash viene considerata come un disonore nei confronti della religione. Infatti è un fatto insolito vedere una donna non velata giocare a squash persino in pantaloncini, in una regione in cui alle donne viene negata anche l’istruzione. La giovane sportiva subisce anche discriminazioni da parte dei suoi compagni ed avversari ma non demorde mai nel perseguire il suo sogno di libertà e di autoaffermazione in un Paese dove il clima religioso soffoca le aspirazioni individuali. Il padre, per ragioni di sicurezza, le consiglia di lasciare il Paese natio per trasferirsi definitivamente all’estero, come “l’uccellino che se vuole imparare a volare deve uscire dal nido”.

Nel 2007 la ragazza partecipa a vari tornei internazionali ricevendo un premio dal presidente Musharraf. Da quell’anno la sua fama comincia ad aumentare proporzionalmente alle intimidazioni e minacce di morte alla famiglia da parte dei talebani. Viene così costretta a lasciare lo squash e per tre anni non può fare altro che giocare chiusa fra le quattro mura della sua camera. Nel frattempo continua a scrivere email alle accademie e club di squash in varie parti del mondo fino a quando riceve una e-mail da quel Jonathan Power di cui conservava la rachetta autografata. Il campione canadese le promette di insegnarle lo sport con la prospettiva di poter un giorno diventare la numero uno tra i campioni pakistani.

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Maria vive ora a Toronto ed è la campionessa assoluta in cima alla classifica pakistana, nonché la numero 54 nel ranking mondiale. Questa campionessa costituisce per tutte quelle donne pakistane a cui vengono negate l’istruzione e la possibilità di emancipazione un esempio da seguire. L’auspicio maggiore di Maria è, tuttavia, di poter ritornare un giorno in Pakistan per praticare il suo sport preferito senza limitazioni e condizionamenti imposti dalla religione e dall’opinione pubblica.

Alessio Chen


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