Dopo la chiesa di Kafar Bir’em imbrattata con simboli fallici, dopo il convento di San Francesco sul monte Sion riempito di scritte blasfeme (come “Gesù figlio di p…”) e dopo le porte del monastero di Latrun incendiate dai coloni, ci troviamo ancora una volta a scrivere di cristiani perseguitati in Israele. Questa volta la violenza degli estremisti ebraici ha colpito il monastero di Beit Gemal, vicino Gerusalemme; diverse bombe molotov sono state lanciate contro l’edificio religioso, molto probabilmente da parte di gruppi pro-coloni.
Infatti, oltre alla violenza incendiaria, il monastero è stato anche oggetto di “price tag”, i graffiti con cui i fondamentalisti firmano le loro “prodezze”. L’ultima ondata di violenza anti-cristiana e anti-musulmana è la conseguenza del dibattito, all’interno dello scenario politico israeliano, sulla legittimità e legalità del sistema coloniale in Cisgiordania. Va ricordato che il Dipartimento di Stato Usa ha preso la decisione di considerare “terrorismo” la violenza dei coloni israeliani.
Gadi Gvaryahu dell’associazione Tag Meir ha dichiarato: “La profanazione del monastero è la continuazione diretta della profanazione di oltre 20 luoghi di culto, sia cristiani che musulmani, negli ultimi 3 anni. I responsabili delle price tag vogliono istigare odio tra i vari gruppi religiosi in Israele e spingerli a spargere sangue reciprocamente”.
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