Felix Adado poco più che ventenne è fuggito dal Togo e, dopo un lungo viaggio pieno di insidie, è approdato in Italia come profugo. Oggi è poeta, mediatore culturale e autore di progetti per le scuole.
Intervista di Luca La Gamma
Fuggito dal Togo per motivi personali e politici e arrivato in Italia nel gennaio 2005, Felix Adado è ripartito da qui, e più precisamente da Gaeta, dove è riuscito ad inserirsi nella società ed ha perfino trovato l’amore.
Il suo percorso, però, non è stato semplice. Per anni picchiato dal padre, Felix decide di fuggire dal Togo e cercare riparo dai nonni materni in Ghana, dove vi è rimasto un anno. Successivamente la drastica decisione: venire in Europa per cercare fortuna e dare un cambio sostanziale alla propria situazione sociale ed economica. La richiesta di asilo, l’ospitalità dei fratelli della chiesa Avventista, le notti trascorse alla stazione Termini di Roma e alla stazione Centrale di Napoli e lo sfruttamento in nero hanno segnato i primi mesi della sua permanenza nel Belpaese. Poi l’aver vinto una selezione gli ha permesso di trasferirsi a Padova, studiare saldature, perfezionare la lingua italiana, vivere in un albergo e avere la parvenza di una vita normale.
“Ero richiedente asilo, ma il riconoscimento non arrivò, e con il diniego ho perso tutto: il lavoro, l’alloggio, e soprattutto la regolarità. Ero clandestino. Se il giorno prima saldavo le moto della Yamaha, il giorno dopo dovevo stare attento a non essere controllato dalla polizia per strada. La mia vita, però, è così: dai momenti bui nasce sempre qualcosa di positivo. E proprio mentre mi preoccupavo di come avrei continuato a vivere, ho conosciuto la ragazza che ora è mia moglie. Ho continuato ad impegnarmi con la lingua italiana, tanto che alla fine ho frequentato un corso per mediatori culturali e interpreti, ed ho iniziato ad aiutare i richiedenti asilo traducendo le loro parole durante le audizioni che sostenevano presso le Commissioni per il riconoscimento della protezione internazionale”.
Oggi Felix vive a Gaeta, paese natio di sua moglie Stefania, da cui ha avuto due bellissimi bambini. E’ diventato mediatore culturale per il Ministero degli Esteri e nel 2012 ha pubblicato la sua prima raccolta di poesie dal titolo “L’alba arriva per tutti”.
A 20 anni la fuga dal Togo e l’arrivo in Italia. Che ricordi hai di quei momenti?
“Mio padre era un violento. Pretendeva sempre il massimo da me e ogni scusa era buona per picchiarmi. Ero il primogenito e per questo mi veniva sempre chiesto di essere brillante a scuola, risultare intelligente e un esempio per i miei fratelli. Se facevo o dicevo qualcosa che a lui non andava bene erano botte, tante botte. Così a 18 anni decisi di andare via di casa e trovai riparo dai nonni materni in Ghana. Era il 2003. Restai dai nonni per due anni, ma già avevo preventivato che non sarei più potuto tornare indietro. Così nel 2005 decisi di venire in Italia a cercare fortuna. Appena arrivato non conoscevo l’italiano; arrivai all’aeroporto di Fiumicino e riuscii a passare la dogana con dei documenti falsi. I primi tempi venni accolto in una casa e riuscii a fare solo saltuari lavori rigorosamente in nero. Venivo sfruttato e soffrivo, così decisi di ribellarmi, ma in poco tempo mi ritrovai in strada, solo. Per un periodo dormii alla stazione Termini di Roma e alla stazione Centrale di Napoli, poi conobbi una signora che mi ospitò e iniziai a vedere la luce.
Quali sono stati i tuoi primi punti di riferimento in Italia e quando è arrivata la vera svolta?
Non ho avuto dei punti di riferimento. Non avevo futuro appena arrivato, non conoscevo la lingua e non avevo amici. Vivevo alla giornata e il mio unico pensiero era quello di evitare di farmi arrestare. Per fortuna, però, da quando sono piccolo ho un’indole che mi caratterizza: apprendo tutto con estrema facilità. Ricordo che non mi piaceva non capire le persone quando mi parlavano, così decisi di imparare l’italiano e lo appresi in pochissimi mesi. La svolta arrivò nel 2006 a Padova. Dopo un anno il mio italiano era eccellente e riuscii a vincere un concorso per studiare le tecniche di saldatura. Questo mi permise di trovare lavori più decenti e ben retribuiti. Nello stesso anno feci richiesta di asilo politico.”
Come è stato integrarti nella società italiana e come ti trovi dopo 10 anni? Sei tornato in Togo?
“Mi sono integrato abbastanza facilmente soprattutto grazie alla rapidità con cui ho appreso la vostra lingua. Per assurdo quando sei clandestino e arrivi in un Paese straniero sono i tuoi stessi compaesani a sfruttarti, approfittandosi delle tue difficoltà socio economiche. Diventano i tuoi punti di riferimento facendo leva soprattutto sulle tue difficoltà di comprensione. Prendi, ad esempio, il mercato della droga. Molti africani gestiscono alcune piazze di spaccio importanti, ma difficilmente si mettono in gioco e rischiano la loro indennità. Così sfruttano i loro compaesani in difficoltà, offrendogli buoni guadagni e un riparo sicuro. E’ così in molti altri mercati, non solo quello degli stupefacenti. Io sono stato fortunato perché apprendendo in pochi mesi l’italiano non ho dovuto fare troppo affidamento sui fratelli togolesi, e di conseguenza non sono finito in alcuni giri loschi. La padronanza della lingua mi ha aiutato. Se padroneggi una lingua sei in grado di capire, e se sei in grado di capire puoi evitare situazioni spiacevoli. Mi piacerebbe creare un’occasione per tutti i togolesi che vivono in condizioni difficili in Italia. Faccio molto volontariato per gli stranieri, mi fa sentire bene. Sono tornato in Togo solo una volta, 3 anni fa, per trovare mia mamma, ma ormai la mia vita è qui. Quella in Togo appartiene al passato.”
Traduttore per il Ministero degli Esteri e mediatore culturale; prima l’università e poi la pubblicazione di un libro di poesie. Sembra tutto facile, ma quali insidie ci sono state in realtà?
“Le insidie sono state quelle iniziali, quando ero clandestino e giravo con documenti falsi. Quando iniziai a lavorare come interprete ero ancora un clandestino. Poi tutti sono rimasti sbalorditi dalla mia padronanza della lingua italiana e in pochi anni sono diventato uno dei più importanti interpreti della mia lingua nel centro sud. Ho avviato diverse collaborazioni in un paio di scuole medie dove tengo un corso di integrazione. Mi trovo spesso a girare per l’Italia per presentare il mio libro e per tenere i corsi di integrazione nelle scuole. Le insidie ci sono tutt’oggi perché mia moglie Stefania non lavora e io sono precario, ma per fortuna riusciamo ad arrivare a fine mese.”
L’approccio con la poesia e la pubblicazione del libro. Come nasce “L’alba arriva per tutti” e cosa vuoi comunicare quando scrivi?
“Quando ero più giovane già scrivevo alcune poesie in francese. Nel 2006 ho scritto la mia prima poesia in italiano (dal titolo “La mia strada” ndr). Appena arrivato in Italia scrivevo perché ero angosciato da ciò che stavo vivendo. La penna e il quaderno erano un modo per non pensare, per evadere dalla realtà che mi circondava. Anche mio padre ha avuto un ruolo importante nella realizzazione di questo libro. Volevo dimostrargli in qualche modo che si sbagliava su di me. Pensava che fossi un buono a nulla, volevo contraddirlo. Stefania è stata fondamentale, senza di lei non avrei mai trovato il coraggio di propormi alle case editrici. Un giorno a Gaeta ho conosciuto Sandra Cervone (giornalista), è stata lei la fautrice del mio libro. Una volta terminata la lettura delle mie poesie mi ha telefonato e mi ha detto: “ti aiuto a pubblicarle”, e così è stato. Pochi mesi dopo è nato “L’alba arriva per tutti”. Il mio sogno è quello di diventare un poeta famoso.”
Quali sono i tuoi progetti futuri?
“Ti direi che il primo obiettivo che mi sono posto è quello di essere un buon padre, quello che mio padre non è stato per me. Mi piacerebbe diventare un punto di riferimento per i tanti togolesi che vengono in Italia a cercare fortuna, aumentare i corsi nelle scuole perché tutti i giovani possano avere l’opportunità di capire cosa significa per noi affrontare un viaggio simile, lasciare casa e non tornare più indietro. Vorrei aiutare gli stranieri ad integrarsi, ma il mio sogno resta quello di contribuire a far sì che non ci siano più forme di razzismo.”
Di recente c’è stato un vero e proprio dramma a Lampedusa. Oltre 300 migranti hanno perso la vita. Come pensi si possa arginare il problema?
“Tanti anni fa morivano i nostri antenati perché venivano comprati dai bianchi e portati in Occidente come schiavi, però venivano pagati. Oggi è la stessa cosa, con la differenza che chi viene qui per cercare fortuna paga. Troppo spesso pagano per morire. Io credo che con la recente tragedia di Lampedusa anche il mare ha voluto mandarci un segnale forte. Ha voluto contribuire a creare un’attenzione mediatica sulla situazione critica che c’è e che ormai è evidente a tutti. Penso che bisognerebbe creare un valido programma politico per aiutare chi sbarca in Italia, per favorire l’integrazione e magari contribuire ad evitare tragedie aiutando anche i governi in Africa. So che non è facile, ma bisogna provarci. Io sono stato fortunato, sono riuscito a crearmi un futuro. Anche loro possono riuscirci, ma bisogna metterli in condizioni di provarci. Qui o lì non importa, ma un mondo migliore è possibile. O almeno dobbiamo sperarlo.”
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