Ho incontrato Sondos Gamal al-Hosseny per la prima volta a Barcellona. Eravamo entrambi finalisti al premio letterario IEMed “A Sea of Words”. Nei quattro giorni a Barcellona non abbiamo parlato molto, essendo lei molto timida e, sbagliando, insicura sul suo inglese. Ci siamo conosciuti meglio in seguito, attraverso internet. Mi è sembrata molto curiosa sulle altre culture e ciò che mi ha sorpreso è la sua totale mancanza di pregiudizi. Intervista di Eugenio Dacrema
Nel suo recente “Their Fear is Themselves” Sondos tocca questioni e argomenti che raramente ho trovato nella letteratura egiziana finora letta. E il fatto che sia opera di un’autrice molto giovane è ancora più sorprendente. Ciò mi fa pensare che nonostante le delusioni e le derive a cui abbiamo assistito in Egitto dal 2011 a oggi, i libri come quello di Sondos sono la prova inequivocabile che qualcosa è davvero cambiato. Le cose prima tenute segrete ora sono discusse pubblicamente e una nuova generazione di intellettuali sta emergendo dal caos. Una scintilla di ottimismo che, nel tempo, potrebbe diventare un fuoco.
Prima della caduta di Mubarak una giovane autrice avrebbe potuto pubblicare un libro come il tuo?
L’era Mubarak è durata 30 anni, e ogni anno è stato diverso dagli altri. Ci sono stati gli anni ’80 e l’omicidio di Sadat, poi i ’90 con la questione terrorismo. Infine, in seguito al 2001 molte cose sono cambiate. A volte Mubarak fingeva di darci delle concessioni sulla libertà di espressione, altre volte chiudeva ogni spiraglio. Quindi la risposta è no, un giovane autore non avrebbe potuto pubblicare un libro come il mio senza temere conseguenze negative. Ad essere onesti non c’era una censura ufficiale, ma se un libro, un articolo o un blog avevano successo e le persone iniziavano a parlarne, potevano esserci problemi per l’autore, l’editore o il giornale. Ci sono stati molti episodi di questo tipo. Anche a scuola, nei compiti in classe gli studenti dovevano evitare di schierarsi contro il regime. Ma ci sono state anche persone coraggiose, persino negli anni ’80. Le loro parole e i loro esempi hanno aiutato la mia generazione a concepire la rivoluzione.
Quanto è cambiato lo scenario culturale egiziano con la rivoluzione?
E’ cambiato molto. Quei giovani che hanno occupato le strade e chiesto libertà e giustizia sociale hanno cambiato molto la mentalità della nazione. Cionondimeno, il loro impatto non è stato omogeneo e si è sviluppato in due forme diverse. Ovviamente c’è una tendenza che porta al rifiuto della nostra grande rivoluzione e quindi delle sue distorsioni; la si può trovare spesso nei media e nei film prodotti dai circoli culturali vicini al vecchio regime. Poi c’è un secondo filone che incoraggia la rivoluzione e cerca di seminare i suoi principi attraverso i prodotti culturali.
Secondo me è una situazione di guerra. Non ha più niente a che fare con la cultura; la politica ha messo in ombra ogni singolo evento culturale e compromesso la sua capacità di innovazione e la sua bellezza. Nonostante questi due trend principali, si può scorgere un numero crescente di fantastiche produzioni artistiche assenti durante l’era Mubarak. Queste forme d’arte non sono maggioritarie, ma sono certa che in pochi anni il loro impatto sarà molto più grande, così come successo nelle altre rivoluzioni nell’arco della storia.
Cosa vuol dire essere una giovane donna musulmana nell’Egitto di oggi? E questo come influenza la tua produzione letteraria?
Probabilmente l’era Mubarak aveva un vantaggio: ci rendeva uniti nella stessa oppressione, senza darci ulteriori classificazioni. Ora invece la situazione è diventata molto complicata. Una giovane musulmana prima di parlare deve esplicitare la sua ideologia altrimenti può essere accusata dalle altre persone per qualsiasi motivo, anche per il modo in cui è vestita. Queste persone non sono semplicemente cristiani o laici. Potrebbero anche essere musulmani con una presa di posizione netta contro la i Fratelli musulmani o i salafiti.
Questi conflitti politici stanno dividendo la comunità, con il risultato che ora c’è persino meno libertà di prima. Molte volte temo le persone intorno a me più dello stato, perché l’accettazione dell’opinione altrui è sempre più bassa.
Chiaramente tutti questi processi influenzano la mia scrittura e ispirano le storie. Le ho scritte affinché la gente sia consapevole di ciò che sta facendo e come i suoi comportamenti siano cambiati in pochi anni. Non è una situazione complicata solo per una donna musulmana che indossa l’hijab, lo è anche per una cristiana o per una musulmana che decide di non indossarlo. Dopo la rivoluzione e la salita al potere degli islamisti molte cose sono cambiate nelle strade egiziane e lo si può notare nei discorsi pieni d’odio tra tutti i partiti politici. Ciò è evidente nei media, nella letteratura e, ovviamente, per strada.
Di cosa ha bisogno l’Egitto per realizzare le grandi speranze scaturite dalla rivoluzione? Qual è il ruolo dei giovani intellettuali?
Prima di tutto l’Egitto ha bisogno che i giovani siano uniti come nei giorni della rivoluzione del 25 gennaio. Tutta la società dovrebbe focalizzarsi sul grande scopo della rivoluzione. Le persone devono prendersi del tempo per capire che tutte queste ideologie non sono motivo di conflitto ma la spinta per forgiare una comunità reale e moderna. La loro varietà è un fattore che può far sì che gli egiziani rifiutino nel futuro un certo tipo di controllo. Voglio dire che in Egitto ci saranno sempre molte ideologie e molte religioni e dovremmo imparare a vivere l’una con l’altro come una nazione e trarre guadagno dalle differenze. Il ruolo dei giovani intellettuali è quello di innalzare il valore della libertà senza renderlo un bene a disposizione solo di chi è d’accordo con loro. Per produrre una letteratura positiva i giovani autori dovrebbero focalizzarci su ciò che ci unisce e non su quello che divide la nostra comunità. Questo dovrebbe essere il ruolo dei media; non dovrebbero imporre al popolo un punto di vista specifico, come succedeva nel passato. Questo modo di condizionare il pensiero del popolo deve essere fermato immediatamente. E’ ridicolo mettere supervisori sui media e sulle arti. Ma, in conclusione, credo che nessuno potrà far dimenticare agli egiziani la loro rivoluzione e i loro diritti. E lo scopo dei giovani autori dovrebbe proprio essere quello di ricordarglielo.
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