Ankara chiede all’Italia l’estradizione di Bahar Kimyongur, attivista belga di origini turche, accusato di terrorismo. Di Giulia Sabella
Era in Italia per partecipare ad una serie di conferenze sul Medio Oriente Bahar Kimyongür, il giornalista e attivista belga di origine turche, arrestato giovedì scorso dalla polizia all’aeroporto di Bergamo. Ankara lo accusa di terrorismo e ne chiede l’estradizione. Lunedì prossimo la Corte di Appello di Brescia dovrà decidere se liberarlo, tenerlo in carcere oppure, altra ipotesi, se concedergli gli arresti domiciliari. “C’è già una lista di persone pronte ad accoglierlo” dice Federico Romoli, avvocato di Kimyongür.
Non è la prima volta che il giornalista si trova ad affrontare una situazione simile. La Turchia lo accusa di far parte del Dhkp-c, considerato dall’Unione europea un gruppo terroristico. La colpa di Kimyongür è quella di aver tradotto in francese alcuni comunicati dell’organizzazione e di aver manifestato tredici anni fa contro un ex ministro turco al Parlamento europeo di Bruxelles.
Arrestato una prima volta in Belgio e poi assolto in cassazione, Kimyongür era stato fermato anche in Olanda. Allora però i giudici ne negarono l’estradizione perché, ricorda Romoli, definirono la sua una “libera manifestazione delle proprie idee politiche”. L’attivista, che scrive sul sito del giornalista Michel Collon, Investig’action, ha più volte criticato il governo del premier turco Recep Tayyip Erdoğan. Nel suo ultimo libro, Syriana, la conquête continue, Kimyongür ha puntato il dito contro Ankara, accusata di interferire nella guerra civile siriana finanziando e sostenendo gli oppositori di Bashar al Assad.
Adesso tocca all’Italia decidere se sarà la giustizia turca a giudicarlo. La prossima settimana, una volta terminata l’udienza di lunedì, inizierà la vera e propria fase che potrebbe portare Kimyongür all’estradizione. Si tratta di un procedimento molto lungo. “Possono passare settimane, anche mesi” spiega l’avvocato Romoli.
Intanto lunedì pomeriggio più di cento persone hanno manifestato davanti al consolato italiano di Bruxelles, chiedendo la liberazione dell’attivista. Già nel 2006 il suo arresto fece molto discutere, tanto da diventare il soggetto di un documentario, Résister n’est pas un crime, girato nel 2008 e presentato l’anno successivo al Festival Cinematografico Internazionale dei diritti dell’uomo di Parigi (Fifdh).
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