Alan è un ragazzo di 23 anni nato, cresciuto e tutt’ora residente a Sarajevo. Quando l’assedio della capitale bosniaca iniziò (5 aprile 1992 ndr) aveva solo 2 anni. Si definisce un ‘miracolato’ perché è riuscito insieme alla sua famiglia a scampare alle bombe e ai fucili dei serbi. Oggi, a 17 anni dalla fine del conflitto (29 febbraio 1996), ha ancora molti ricordi impressi nella sua mente nonostante fosse molto giovane durante gli anni del conflitto più grande della storia bellica moderna. Quei ricordi li ha raccontati a Frontiere News.
Alan, che ricordi hai della guerra? Sensazioni, flashback, emozioni, immagini, alcuni particolari.
“Quando la guerra iniziò avevo 2 anni. I Chetniks (organizzazione militare serba contraria all’indipendenza della Bosnia ed Erzegovina ndr) occuparono la metà della città in cui vivevamo io e la mia famiglia, quindi divenni un clandestino nella mia stessa città. Le nostre vite non erano al sicuro, così mio padre in piena notte decise di portarci tutti dall’altra parte della città che non era stata occupata dai militari serbi. Ho una sorella maggiore, mio padre decise di portare me in braccio e disse a mia madre che se i Chetniks ci avessero ucciso, lei e mia sorella avrebbero dovuto continuare a correre oltre il ponte che divideva in due Sarajevo. Sono a conoscenza di questo fatto perché i miei genitori me lo hanno raccontato tante volte. Mi ricordo diverse scene di guerra, una di queste è del 1994: una granata cadde sul palazzo dove ci eravamo rifugiati. Mi ricordo la polvere, il fuoco, il fumo e la gente che piangeva e chiedeva aiuto. Molte di queste scene mi tornano in mente come flashback quando vedo i fuochi d’artificio o sento sparare.”
Come ha cambiato la tua adolescenza vivere 4 anni di conflitti? Cosa significa crescere durante la guerra?
“Crescere durante la guerra non ha compromesso più di tanto la mia adolescenza perché non conoscevo nulla di meglio. La fine del conflitto è stata una vera e propria liberazione e una concreta opportunità di una vita migliore. Ricordo che quando giocavamo in cantina avevo paura ed ero cosciente che avrei rischiato la vita uscendo in cortile. Dopo la guerra rimasi sorpreso dal fatto che esistevano tante caramelle e non solo quelle vietnamite che i soldati delle Nazioni Unite a volte ci davano. Ho scoperto che esistevano tanti frutti, non solo mele e prugne. Le persone che sono sopravvissute alla guerra, come me e la mia famiglia, oggi sono molto più grate alla vita, la apprezzano come apprezzano il cibo e la pace. Non credo che la guerra ha avuto qualche impatto sulle mie interazioni sociali o conoscenze, perché durante la guerra le persone si aiutavano tra loro e tentavamo tutti ogni giorno di imparare cose nuove.”
Come erano scandite le tue giornate? Come pensi sia cambiato il tuo sviluppo personale e quali differenze pensi di avere rispetto a un tuo coetaneo cresciuto nella situazione diametralmente opposta?
“In quegli anni l’unico svago concreto che avevamo era sentire la radio in cantina. L’accendevamo con la bicicletta. Noi bambini facevano girare i pedali per creare energia elettrica e ci divertivamo a farlo, e i nostri genitori ne approfittavano per ascoltare i bollettini di guerra e le ultime novità sul conflitto. Abbiamo passato quegli anni in cantina, i nostri padri lottavano contro i Chetniks e le nostre madri di notte andavano a procurarci cibo e acqua. Crescere durante la guerra non fu tanto difficile per me quanto lo fu per i miei genitori perché non si sentivano in grado di darci quello di cui avevamo bisogno. Vivere ogni giorno con il terrore che potesse essere l’ultimo era la cosa più brutta. Non c’è domani durante un conflitto, puoi solo vivere la quotidianità e sperare che ci sarà un domani.”
Gli anni successivi, quelli della ripresa della città, devono esser stati difficili (anche dal punto di vista economico). Cosa ricordi?
“La città fu distrutta completamente durante un attacco della più grande armata serba. La ripresa di Sarajevo non si è mai completata, ancora oggi viviamo disagi. L’economia va male ed è difficile ottenere fondi internazionali per la ricostruzione. Dopo 20 anni si possono ancora vedere molti edifici danneggiati. Il mio appartamento era in prima linea rispetto al territorio dei Chetniks e venne totalmente distrutto. I muri hanno buchi giganti e bottiglie d’alcol fanno da tappabuchi. In molti edifici mancano ancora porte e finestre.”
Come è cambiata Sarajevo dal dopoguerra ad oggi?
“Sarajevo è cambiata tanto. Le persone sono cambiate. Non sono più amichevoli come erano solito essere, la città e più grande rispetto a prima. Sono sorti nuovi edifici, ma sono ancora troppi pochi. Per fortuna il turismo è in crescita, questo garantisce entrate economiche alla città. E’ difficile spiegare come è cambiata Sarajevo, la criminalità è tanta, l’economia va male, le persone badano solo alle proprie vite. A nessuno interessa più del prossimo. Quasi tutti quelli che conosco hanno perso qualcuno durante la guerra e nessuno ha più il sorriso. Ho come la sensazione che tutti i bosniaci reduci dal conflitto temano che possa riprendere prima o poi.”
Come sono i rapporti tra bosniaci e serbi a distanza di 17 anni (secondo il tuo punto di vista)?
“Ci sono tanti serbi a Sarajevo e io ho tanti amici serbi. Molti serbi hanno lottato per la Bosnia e per Sarajevo perché questa era anche casa loro. Ci sono state tante incomprensioni tra serbi perché erano nemici tra loro, si erano create due fazioni: i Chetniks e i serbi. I bosniaci stanno dimenticando tutto, anche le vittime che hanno dato la propria vita per la Bosnia e io credo che saranno puniti per questo. Non dobbiamo dimenticare. Oggi molti serbi vivono a Sarajevo. Vanno in chiesa e fanno ciò che vogliono. Io stesso vado spesso a Belgrado e ospito molti amici di lì.”
I Chetniks tutt’oggi continuano a minacciarvi di un nuovo bombardamento, inneggiando all’odio nei vostri confronti.
“Molti Chetniks vivono a Sarajevo o sulle colline circostanti. Ancora celebrano Milosevic, Karadzic e gli altri estremisti in generale. Si incontrato a Ravna Gora ogni anno e durante questi meeting bevono alcol, cantano canzoni di guerra e alludono ad una prossima lotta. Non minacciano Sarajevo, sono consapevoli che la nostra città nonostante fosse stata attaccata da una delle armate più grandi della ex Jugoslavia è sopravvissuta. Sanno che Sarajevo e indistruttibile.”
Come vedi il tuo futuro e quello di Sarajevo?
“Credo che Sarajevo abbia bisogno di più tempo per riprendersi. La criminalità è tanta e molte persone non hanno soldi, i giovani non hanno lavoro e così è favorito lo spaccio di droga e l’illegalità. I politici sono i più grandi criminali del Paese perché sfruttano questa situazione e l’insofferenza popolare per guadagnare voti e soldi, ma non offrono soluzioni. Mi meraviglio come le persone possano ancora votarli. Non vedo un futuro brillante per Sarajevo a breve termine e mi dispiace, perché amo questa città.”
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[…] Le aree da sminare in Bosnia sono ancora tantissime. Esiste una mappatura che oggi rischia di essere stravolta completamente. Dalla fine del conflitto degli anni ’90 ad oggi è stato creato un documento, il red folder, sui terreni da sminare; sono state utilizzate informazioni e mappe fatte dai soldati che hanno minato il territorio. Però nel tempo le mine si possono essere spostate, e l’alluvione di questi giorni torna a porre l’attenzione su un problema mai risolto di una guerra che ancora oggi riecheggia nelle memorie di chi l’ha vissuta. […]
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