Proteste a Tirana contro la proposta di smantellare le armi chimiche siriane in Albania

Un dimostrante protesta di fronte all'Ambasciata Usa a Tirana. Foto di Reuters

Centinaia di persone ieri hanno protestato di fronte all’ambasciata Usa a Tirana contro l’ipotesi di smantellare l’arsenale chimico siriano in Albania. La notizia è cominciata a circolare la scorsa settimana quando da più parti è emerso il nome dell’Albania come possibile destinazione dell’arsenale di Assad. Da allora si susseguono le manifestazioni che ieri sono culminate con la protesta contro gli Stati Uniti, individuato come il Paese che in questo momento sta facendo maggiori pressioni sul governo albanese.

Il Premier socialista Edi Rama, che da soli due mesi ha sostituito Sali Berisha, ha ammesso di aver parlato al telefono con il Segretario di Stato americano John Kerry ma ha sottolineato come nessuna decisione sia stata presa e che la richiesta degli Usa non è stata ancora ufficializzata. Rama ha inoltre promesso che eventuali decisioni a riguardo verranno prese alla luce del sole. Queste rassicurazioni non sono però bastate ai manifestanti che denunciano il forte rischio di inquinamento ambientale in un Paese che negli ultimi anni sta cercando di rilanciare la propria immagine come meta turistica.

Il Governo si trova quindi in una situazione difficile: da un lato deve subire le pressioni degli Stati Uniti che nel 2009 hanno accolto l’Albania nella Nato; dall’altro deve fare i conti con l’opinione pubblica interna che è fortemente contraria all’ipotesi di smantellare l’arsenale chimico sul proprio territorio. I manifestanti, in particolare, ricordano che il nuovo Governo ha da poco abolito la legge che permetteva l’importazione di rifiuti e che rischiava di trasformare l’Albania nella pattumiera d’Europa. Legge voluta da Berisha nel 2011 e fortemente contestata dallo stesso Edi Rama, al tempo capo dell’opposizione.

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Ma l’Albania non è l’unico Paese contattato dagli Stati Uniti a seguito della risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite secondo cui l’arsenale chimico siriano dovrà essere rimosso rapidamente dalla Siria e spostato in un luogo sicuro. Già Turchia, Belgio, Norvegia e Giordania hanno declinato l’invito che si sta trasformando in un caso internazionale che alla fine lascerà necessariamente qualcuno con il cerino in mano. E al momento l’Albania sembra essere il candidato ideale, anche perché nel 2007 fu aiutata dagli Stati Uniti a smantellare il proprio arsenale chimico creato durante il regime comunista. La distruzione di queste armi, ricordano però i contestatori, nel 2008 ha portato alla morte di 28 persone a causa di un’esplosione.

Al grido di “l’Albania è nostra” e, parafrasando il fortunato slogan di Obama, “Yes, we can say no” il popolo albanese è quindi pronto a dare battaglia. l’Opac, l’Agenzia delle Nazioni Unite per la proibizione delle armi chimiche da poco insignita del premio Nobel per la pace, rimane per ora in attesa di una decisione. Saranno loro, infatti, ad occuparsi dello smaltimento dell’arsenale siriano che contiene circa mille tonnellate di agenti tossici.

di Manuele Petri


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