di Monica Gazzo
Il giorno dopo il decesso di Mandela, Bill Fletcher Jr. ha scritto: “Ho festeggiato il fatto che Mandela ha creduto appassionatamente nell’organizzazione e che non voleva essere considerato come un ‘leader assoluto’. Egli ha visto nell’organizzazione, ed in particolare nell’organizzazione del popolo, la chiave per la liberazione”.
Mandela parlava di “ubuntu”, che ha molti significati, ma che di solito vuol dire che molti esseri umani insieme sono più forti di un individuo solo, e che divenne l’assioma fondamentale del Congresso Nazionale Africano, il partito da lui diretto fino alla vittoria nel 1994.
Bill Fletcher Jr. è un sindacalista e attivista internazionale antirazzista. Dopo essersi laureato ad Harvard, ha lavorato come saldatore in un cantiere navale, entrando in contatto con il movimento operaio statunitense. Nel corso degli anni è stato attivo nelle lotte sindacali, per i diritti civili e in alcune campagne elettorali. Ha lavorato per diversi sindacati, oltre a far parte dell’AFL-CIO, la più grande federazione dei sindacati negli Stati Uniti, con un totale di più di 11 milioni di lavoratori. È stato presidente del Forum TransAfrica e ricercatore senior presso l’Institute for Policy Studies, oltre a far parte del consiglio editoriale di BlackCommentator.com. Fletcher è co-autore di “L’alleato indispensabile: lavoratori neri e la formazione del Congresso delle Organizzazioni Industriali, 1934-1941”, e di “Solidarietà Divisa: la crisi nel lavoro organizzato e un nuovo percorso verso la giustizia sociale”. Inoltre, ha scritto “Ci stanno mandando in rovina – e altri venti miti sui sindacati”.
MIGRANTI E LIBERO MERCATO. L’ho conosciuto e e gli ho fatto da interprete qualche settimana fa a Firenze in occasione di un incontro su lavoro e frantumazione della solidarietà nell’era della globalizzazione. Nel suo intervento, Fletcher ha parlato del neoliberismo, della globalizzazione e delle loro conseguenze sull’economia contemporanea. Il libero mercato e la riduzione del peso dello Stato nella vita pubblica hanno avuto conseguenze devastanti nei confronti dei lavoratori e dei sindacati. Ancora di maggior rilievo, le conseguenze che la globalizzazione ha avuto nei confronti dell’immigrazione. “Come accade in tutto il mondo, i migranti lasciano i loro paesi di origine per le più svariate ragioni individuali. Nel loro insieme, essi rappresentano la risposta di milioni di persone all’eredità del colonialismo, della tratta di schiavi, le guerre, le devastazioni ambientali ed il sottosviluppo economico, imposto al sud globale dal nord globale. Lo slogan che riassume questo movimento, in gran parte del mondo, è stato coniato in Inghilterra: ‘Noi siamo qui perché voi siete lì!’ In altre parole, la migrazione dal sud globale è la diretta conseguenza dell’assalto avvenuto da parte del nord globale nel corso di centinaia di anni.” Fletcher ha fatto riferimento ad episodi gravi, come il genocidio in Rwanda, come esempio di manipolazione da parte della destra populista della crisi economica e della tensione storica all’interno del paese. “La dirigenza Hutu ha visto in questi fattori non solo un’occasione per sconfiggere l’opposizione, ma anche per “ridefinire” la popolazione. Seguendo l’esempio dei nazisti, gli Hutu hanno descritto i Tutsi come sub-umani. La destra populista ridefinisce le sue comunità, dichiarandone alcune estranee ed altre accettabili”, ha dichiarato Fletcher. Alla mia domanda relativa ad un eventuale cambiamento delle ragioni per le quali la globalizzazione ed il neoliberismo sono ancora dominanti rispetto a dieci anni fa, Fletcher ha risposto: “Penso che il neoliberismo continua ad essere egemonico in parte a causa della crisi del socialismo. Innanzitutto, mentre le masse popolari odiano il capitalismo, esse hanno paura del socialismo o temono che non possa funzionare. In secondo luogo, i movimenti di massa sono stati repressi e questo è un fatto che spesso ignoriamo. In terzo luogo, l’élite dirigenziale si è spostata verso destra ed in questo modo il discorso dominante che ha prevalso ha attaccato lo spazio pubblico, i bisogni della collettività, ecc.” Infine, Fletcher ha indicato nella globalizzazione il movente principale per ridurre al massimo i diritti dei lavoratori salariati, come i contributi e l’assistenza medica, per cercare di trasformare tutti, oltre che in precari, nella migliore delle ipotesi, in lavoratori autonomi, per i quali è molto più difficile sopravvivere nella giungla attuale del neoliberalismo. Lo sappiamo bene noi in Italia, costretti a pagare cifre molto elevate per Partite Iva, iscrizioni a Camere di Commercio e servizi di commercialisti.
LE CRITICHE AI SINDACATI L’ultimo libro di Fletcher, “Ci stanno mandando in rovina – e altri venti miti sui sindacati”, nelle sue stesse parole, “è un tentativo di far fronte ai miti e alle critiche generiche relative al movimento sindacale. È rivolto a persone che sanno molto poco o niente dei sindacati con la speranza di introdurle alla storia, ma anche alle complessità del sindacato e dell’associazionismo in generale. Non presenta i sindacati come una panacea, ma li indica come una parte essenziale della democrazia, sebbene una forma complessa di organizzazione.” O per dirla con Mandela, di “ubuntu”. Nel lavoro precedente di Fletcher, “Solidarietà Divisa: la crisi nel lavoro organizzato e un nuovo percorso verso la giustizia sociale”, scritto in collaborazione con Gapasin, indica che la globalizzazione non è un processo naturale né inevitabile, ma è determinato da decisioni politiche ed economiche il cui obiettivo è “eliminare gli ostacoli per ottenere profitto”. Fletcher e Gapasin, nell’analizzare il rapporto tra capitalismo globale e cambiamenti nella politica interna degli Usa, arrivano alla definizione di uno “stato neoliberale autoritario”, che ha determinato le reazioni repressive nei riguardi dei movimenti sociali degli anni ’60 e ’70, intensificandone l’autoritarismo durante la “guerra” contro la droga ed aumentando ulteriormente le tendenze repressive in seguito agli eventi dell’11 settembre. Non ultimo, il ruolo dell’élite dirigenziale americana nell’eliminazione di ostacoli per il conseguimento di profitti attraverso la riorganizzazione dell’economia internazionale. All’interno di questa nuova organizzazione del capitale, è necessario che i sindacati in Usa capiscano sia la globalizzazione in generale che le conseguenze che ne derivano, affinché possano dare delle risposte adeguate anche alle classi lavoratrici.
LOTTA DI CLASSE COME PROGETTAZIONE URBANA Fondamentale per il raggiungimento di un movimento sindacale impegnato nella giustizia sociale è il concetto che la lotta di classe non deve essere limitata all’ambito del posto di lavoro, bensì deve espandersi nell’ambito della progettazione urbana. A questo scopo, gli autori propongono la creazione di Comitati di Lavoro Centrali (CLC), blocchi sociopolitici di base, legati a comunità specifiche, il cui ruolo sarà riorganizzare le classi lavoratrici e promuovere un sindacalismo basato sulla giustizia sociale. Gli ostacoli da superare riguarderanno soprattutto i rapporti dei CLC con un governo autoritario a favore della globalizzazione. Le difficoltà non sono indifferenti e richiedono mutamenti radicali nei sindacati locali. A tal fine, gli autori si sono alleati con i rappresentanti regionali dei sindacati, per dare inizio al processo di trasformazione in corso. La loro è una sfida ai sindacalisti, a riflettere sul loro lavoro all’interno di una strategia più ampia che metta in discussione il capitalismo.
CRISI DI RAPPRESENTANZA In Italia, qualche settimana fa, Maurizio Landini, segretario generale della Fiom, pur abbracciando l’idea di sindacatomovimento, ha dichiarato in un’intervista: “O questo sindacato cambia o è destinato a morire”. Ha ammesso che le grandi organizzazioni sindacali non sono più rappresentative tra i lavoratori, sia tra quelli tutelati, sia tra i precari, giovani ed anziani. “C’è una crisi di rappresentanza che riguarda tutto il sindacato, senza distinzioni. Penso che il sindacato vada ricostruito (…) La maggior parte dei lavoratori non è iscritto ad alcun un sindacato. Ci sono milioni di precari, giovani ma non solo, che non vedono nelle organizzazioni sindacali un soggetto che li possa rappresentare (…) C’è bisogno di più democrazia nel sindacato. I lavoratori devono poter votare sempre sui contratti e gli accordi che li riguardano. Dobbiamo rappresentare i precari non solo a parole (…) 280 contratti nazionali sono troppi. Basterebbe un contratto e un sindacato dell’industria che preveda le stesse tutele e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni tra tutti i lavoratori. Dobbiamo puntare a ripristinare le pensioni di anzianità per il lavoro di fabbrica, per chi guida i treni, per gli infermieri… Non è un privilegio” Oltre all’importanza di riconoscere i propri errori, ritengo come Fletcher, che la crisi sia da attribuire innanzitutto al neoliberismo, alla globalizzazione e al loro impatto sulla sinistra. Il sindacato deve rimanere una parte essenziale della democrazia e garantire una maggiore giustizia sociale. Ciò che è a rischio non è la sua stessa esistenza, bensì la sua sopravvivenza priva di un’analisi del cambiamento storico avvenuto all’interno dell’economia. Su Wikipedia, alla voce neoliberismo leggiamo: “Ad oggi, non esiste una definizione monolitica… Tra i detrattori dell’ideologia neoliberista alcuni accusano il fatto di essere una sorta di estremizzazione del liberismo economico, tendenza all’annullamento totale dello Stato in favore del libero mercato e dell’imprenditorialità umana… Altri ancora arrivano ad identificare il neoliberismo non tanto nella concezione del venir meno dello Stato a beneficio del mercato, quanto il processo di impadronimento e controllo dello stesso Stato e dei suoi organi chiave da parte di lobby e cricche finanziare. In quest’altro caso quindi il termine assume invece un significato simile a quello di corporativismo o lobbismo.” Dovremmo, come indica Fletcher, esaminare più a fondo la complessità dell’organizzazione sindacale in tempi di globalizzazione e fare maggiore chiarezza all’interno di questi concetti in evoluzione, per garantirne la presenza nello sviluppo essenziale attuale della democrazia e della giustizia sociale, sia a livello locale, nazionale che europeo, anziché l’opposto.
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Monica Gazzi ha recentemente pubblicato on Line un articolo interessantissimo sul ruolo del sindacato in tempi di neoliberismo sfrenato, partendo da un’ intervista a Bill Fletcher junior, sindacalista americano antirazzista.
In tempi di migrazioni di massa, di cui si indagano ragioni e conseguenZe, di nuovi razzismi e di neoliberismo sfrenato, è indispensabile che il sindacato riveda il suo ruolo, così come i suoi metodi di lotta e gli obiettivi che si prefigge di raggiungere.
Niente è più come prima, ma in Italia sembra averlo capito solo una parte della CGIL , quella che fa capo a Stefano Landini, che pure è pronto a riconoscere errori nell’organizzazione, nelle strategie di lotta e negli obiettivi da rivendicare.
L’articolo di Gazzo offre al lettore un’analisi lucida del.presente e utili suggerimenti per possibili strategie future