“Lasciare la sicurezza di una vita tra precariato e disoccupazione per l’incerto di un futuro in un altro Paese fa paura, tanta paura. Perché anche se qui il presente e il prossimo futuro sono una merda, é sempre la tua merda. Totalmente assuefatta al suo odore non ti accorgi nemmeno di vivere avendola ben oltre il collo. Finché non arriva qualcuno che ti apre la finestra, ti fa vedere e sentire oltre te stessa. Una vita migliore, quei diritti prima negati ora diritti realmente auspicabili, un futuro per cui tornare a sognare. Ora non puoi più fare finta di nulla. Non puoi più tornare indietro. Si parte. Nuovi progetti. Nuova vita. Francesca in questi mesi sei sta fonte di ispirazione inesauribile. Sei stata una boccata di aria fresca come mai nella vita! Ecco, grazie!”
Qualche tempo fa ho ricevuto uno di “quei messaggi”, di quei messaggi che ti arrivano tra capo e collo e che ti danno la possibilità di sbirciare un po’ nell’immensità della vita di un’altra persona. Un messaggio arrivato inaspettatamente da parte di una persona che conosco poco, amicizia da social network e a dirla tutta neanche delle più interattive, amicizia di tante battaglie civili condivise, di qualche manifestazione in piazza. Persona che come me mesi fa, come tanti, come troppi ultimamente, decide di aprire la porta ed andarsene dall’Italia. Anche Claudia è decisa a provarci, “perché no” si dice? “Perché no”, le rispondo.
Lei ha quasi quarant’anni e una laurea in Economia che da subito l’avvicinò al mondo dell’Altra Economia, con la voglia forte di contribuire in qualche modo al cambiamento e dopo esperienze non sempre positive di volontariato più o meno remunerato e sempre troppo simili ad un lavoro in nero, approdò in un emporio di commercio equosolidale, attività in cui si lanciò con entusiasmo e gioia, attività però che prevedeva un contratto a progetto che di equo e solidale aveva troppo poco, contratto che non le garantiva nemmeno il diritto di essere malata.
Durante quest’esperienza inizia a farsi qualche domanda e inizia anche a fare qualche paragone: “Ho lavorato per un anno in una azienda informatica, quindi orientata esclusivamente al profitto, ed anche lì avevo un contratto a progetto, ma mai, sottolineo mai, mi è stato tolto un giorno di paga per malattia. E ad agosto avevo pure il mese pagato per intero, anche se l’azienda chiudeva quindici giorni per ferie. Qui (nell’emporio di commercio equosolidale) non solo non avevo le ferie, ma non avevo neppure diritto alla malattia”. Tutto quello in cui aveva creduto va in frantumi e i cocci sono tanti. E sono tutti i suoi.
“Mi ritrovo invece a dover affrontare una delle delusioni più grandi della mia vita, perché ideologica. Non è un abbandono di un amore, non è la rottura di una amicizia. In fondo sai che può succedere e che questo non mette in discussione il valore assoluto dell’amore o dell’amicizia. O forse sì. Forse è proprio come la fine di una storia d’amore, perché non riesco a smettere di credere che il consumo critico e responsabile, il commercio equo e solidale, il voto di portafoglio, l’Altra Economia non possano non essere la via giusta per uscire da questo impasse.”
E allora dopo anni passati tra promesse e precariato, attese, speranze spesso vane, delusioni, dolori, sogni infranti si parte, si sfrutta l’occasione per trasferirsi a Londra, imparare bene l’inglese che, le dicono, è fondamentale per lavorare nella Cooperazione. Si parte. Affitta la sua casetta e torna a vivere dai suoi genitori, mette in vendita la sua auto e spera di riuscire a partire per gennaio, che da dicembre c’è una stanza libera a casa di amici di amici quindi perché aspettare? La paura è tanta ma l’esasperazione anche.
La macchina del trasferimento, la stessa che anche io conosco così bene è accesa, quando una mattina, leggendo la sua posta elettronica trova una mail da parte del Ministero della Pubblica Istruzione che la convoca “pern° 1 posto, classe concorso 017, fino alla nomina dell’avente diritto.”
E l’insegnamento 017 è proprio Economia aziendale. Claudia è in graduatoria di terza fascia, quindi quella che racchiude laureati non abilitati all’insegnamento ed è in quella fascia da due anni circa: non ci pensava proprio a questa eventualità, non ci sperava più.
Trascorre la notte prima della convocazione in bianco, tra la speranza di essere chiamata e quella di non essere chiamata, in un limbo confuso in cui non sa nemmeno lei cosa volere e desiderare davvero.
Una beffa del destino così spiazzerebbe chiunque.
“Eppure se chiudo gli occhi e lascio fluire il pensiero, mi immagino con i ragazzi, in un’aula, seduta ad una cattedra, con un registro tra le mani.
No no, io voglio partire.
Però come sarebbe bello diventare professoressa.
Non ci pensare, tanto si presenteranno in ottomila.”
Ed invece tocca proprio a lei: dopo anni di promesse e precariato, attese, speranze spesso vane, delusioni, dolori, sogni infranti è arrivato il suo momento. In una notte tutto è cambiato. Sarà una Prof., avrà il suo registo, i suoi ragazzi, la sua cattedra e il suo lavoro. Almeno per un anno, durata del suo incarico, sarà una Prof. poi si vedrà.
E quindi non parti più? Le chiedo.
Per ora no, mi risponde. Mi spiega che si prenderà questa sorta di “acconto sul dovuto” ma che anche se il suo orticello cresce bene continua comunque a vedere il deserto che c’è intorno, questo Paese però le “deve” un’opportunità e lei ha tutta l’ intenzione di prendersela: “Non credevo più che questo Paese potesse restituirmi qualcosa quello che mi è successo non mi fa cambiare idea… sono sempre delusa, amareggiata… ed un figlio in Italia personalmente non ce lo farei crescere quindi volevo andarmene e non tornare.”
Poi però di contro attacca con una bellissima descrizione del suo paese, della sua città e delle strade del quartiere che l’ha vista crescere e in cui ha giocato a nascondino: luoghi che ama e che soffrirebbe nel dover lasciare. Ma che, è chiara, lascerebbe comunque se le cose si mettessero di nuovo male e lo farebbe con dolore, certo, ma senza esitare. In un’eterno altalenante binomio.
“E come può il mio amore essere limpido, se è la mia nazione che lo inquina?!”
Questa strofa non mi lascia mai, è nella mia testa durante tutta la nostra chiaccherata.
É un mantra. É un qualcosa che mi appartiene così intimamente che quasi a fatico a scriverne.
Come questa storia. La storia di Claudia e della sua emigrazione mancata o forse solo rimandata.
Qui trovate la sua storia per intero e qui, il mio blog con le mie storie, quella di Claudia e spero presto anche tante altre!
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