La doccia fredda che arriva dall’India ha dell’incredibile e scuote il mondo intero. La Corte Suprema ha annullato la sentenza del Tribunale di New Delhi che nel 2009 legalizzò l’omosessualità, tornando a decretare reato l’essere gay.
La decisione è giunta in seguito a diverse lamentele mosse da associazioni religiose contrarie alla depenalizzazione del reato decisa quattro anni fa e che venne introdotto durante l’epoca coloniale britannica.
La sentenza era attesa dal marzo 2012 quando proprio la Corte Suprema si era riservata il diritto di giudizio e per oltre un mese decise di interpellare quotidianamente i gruppi pro e contro l’abolizione della legge anti gay. Il governo indiano, dichiaratosi favorevole a legalizzare l’omosessualità, prese la decisione storica il 2 luglio 2009 rendendo legale il sesso in un luogo privato tra due adulti omosessuali consenzienti. Dal 2012, però, lo stesso governo ha deciso di ripensare alla possibilità del reinserimento della pena (che prevede, nei casi più estremi, 10 anni di carcere ndr), fino a giungere alla decisione shock di questi giorni che sta provocato le reazioni delle associazioni per i diritti dei gay.
«È un tradimento di quelle stesse persone che la Corte suprema dovrebbe difendere e proteggere, è una giornata nera per la comunità omosessuale», ha commentato Arvind Narayan, avvocato dell’associazione per i diritti dei gay Law Forum. E Ashok Row Kavi del gruppo per i diritti degli omosessuali Humsafar Trust: «È una giornata molto triste per noi, dobbiamo ricominciare da capo con la nostra lotta per il diritto democratico della comunità gay».
E gli attivisti accusano: grazie a questa legge la polizia si sente autorizzata a maltrattarci e malmenarci. Dunque la speranza aperta nel 2009, grazie al ricorso della Naz Foundation che tutela i diritti degli omosessuali, si è appannata.
Mentre le associazioni per i diritti civili annunciano battaglia dichiarando di essere delusi ma di non voler interrompere la lotta per i propri diritti costituzionali, anche la presidente del partito del Congresso indiano, Sonia Gandhi, si schiera contro la reintroduzione del reato affermando in una nota: «l’Alta Corte aveva saggiamente rimosso una legge arcaica, repressiva e ingiusta che incideva negativamente sui diritti umani».
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