Cooperanti di tutto il mondo, unitevi! E’ il grido che negli ultimi mesi ha scosso il mondo della cooperazione italiana indignato per la trasmissione “Mission”, andata in onda ieri sera su Rai 1 nonostante le 100 mila firme raccolte su Change.org per chiederne la sospensione.
Il plotone d’esecuzione era pronto sui social network a impallinare il povero Cucuzza alla prima lacrima di Cristel Carrisi, che puntualmente è arrivata dopo pochi minuti. E leggendo i commenti su Twitter vi confesso che mi sono chiesto per quale motivo io, seduto sul mio divano con la birra Peroni e il piatto di spaghetti, non provassi la stessa indignazione.
Eppure mi ero piazzato davanti alla tv con le peggiori intenzioni: ero pronto a stroncare con giudizi al fiele, soprattutto dopo aver visto sul web le anticipazioni con Paola Barale intenta a cucinare manioca in quella che sembrava una puntata di Masterchef Africa. Per non parlare di Emanuele Filiberto alle prese con calce e cazzuola in una triste replica della memorabile trasmissione “Il principiante”, in cui il regale rampollo si cimentava in umili lavori manuali.
La mia voglia di stroncare è rimasta però insoddisfatta… E pensare che prima della trasmissione sognavo l’eretico Cucuzza al rogo come Giordano Bruno nel bel mezzo del mercato di Campo de’ Fiori, mentre le sue più grandi fan acquistavano zucchine e melanzane al banco della frutta.
Ok, frasi del tipo “la mia vita d’ora in poi non sarà più la stessa” o “nel 2013 non è possibile che ci sia ancora la guerra” mi hanno fatto vacillare. Ma ho cercato di contestualizzare: era il prime time di Rai 1, non la terza serata di Rai 3, luogo in cui di solito sono relegati i reportage dalla Siria che tanto ci piacciono. Ieri più di 2 milioni di persone invece di guardare “Ballando con le stelle” hanno visto entrare nelle loro case la realtà dei campi profughi: non era mai successo!
Non sarà stata la migliore trasmissione di geopolitica nella storia della Rai, ma forse il taglio dato a Mission era l’unico possibile, visto che il programma si rivolge ad un pubblico che per la prima volta si avvicina a tematiche così complicate. Spiegare nel dettaglio i motivi scatenanti della guerra in Siria o in Mali avrebbe reso più attraente persino Inter-Trapani in onda su Rai 2.
Mi è sembrato, comunque, che gli autori abbiano cercato di fornire, magari in maniera superficiale, molte informazioni al telespettatore. Ora il pubblico di Rai 1 sa che il campo di Za’atari con i suoi 120 mila rifugiati è la quarta città della Giordania. Sa che più di 2 milioni di siriani sono stati costretti a lasciare il proprio paese e circa 125 mila sono stati uccisi. Sa che in Mali è in corso una guerra atroce le cui vittime sono sempre più spesso le donne e i bambini. E se per far arrivare queste notizie al grande pubblico serve il Vip, allora viva il Vip!
Certo, a questo punto è fondamentale verificare i loro compensi. Perchè se è vero che Albano ha ottenuto 500 mila euro per andare 15 giorni in Giordania, allora crollano tutte le mie argomentazioni precedenti. Se invece Pannofino & company hanno ricevuto un semplice rimborso spese, non vedo quale sia il problema. Quale sarebbe stato l’appeal della trasmissione se invece di Albano a Za’atara ci fosse andato Manuele Petri? Io sono stato due volte nella Repubblica democratica del Congo nell’ambito di due missioni umanitarie e non ricordo nessuna troupe al seguito. Ho anche fatto un video che su Youtube ha raggiunto le 1.637 visualizzazioni: a me sembravano tante, ma rispetto all’8,2% di share raggiunto da Mission, impallidisco.
Molti se la sono presa, poi, con l’Sms solidale a favore dell’UNHCR più volte pubblicizzato durante la trasmissione. Hanno gridato alla solita “industria umanitaria”, al carrozzone della cooperazione che spende più per i propri dipendenti che per i progetti sul campo. E’ vero, siamo ormai quotidianamente bombardati dagli Sms solidali, ne è stato fatto un uso compulsivo e forse bisognerebbe organizzare dei gruppi di recupero per foundraiser dipendenti dall’Sms solidale. E’ anche vero che le grandi organizzazioni umanitarie spendono sempre di più per mantenere la propria struttura, perdendo di vista gli obiettivi reali della cooperazione.
La colpa di questa deriva, però, non è di “Mission”. Semmai la responsabilità è di chi si è adeguato al nuovo modello di cooperazione in cui l’ufficio raccolta fondi è diventato il reparto con più dipendenti. I cooperanti che criticano Mission magari sono partiti con i fondi raccolti dai dialogatori a cottimo, tante donazioni raccogli e tanto guadagni. E forse la responsabilità è anche di chi lavora in queste organizzazioni, sempre pronto a difendere i diritti del panda ma non i propri diritti di dipendente sfruttato e sottopagato.
Penso che il mondo della cooperazione, di cui faccio parte, sia sempre stato auto-referenziale, quasi geloso di certi argomenti. Questo, dal mio punto di vista, è un errore. Riuscire a portare questi temi nelle case degli italiani è un bene, anche a costo di semplificare la realtà. Sono molto meno dignitose quelle campagne di raccolta fondi che quotidianamente sfruttano il dolore per qualche euro in più.
E ora sono pronto per il rogo, il mio…
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[…] condotto da Joshua Evangelista e Ilaria Bortot, anche Manuele Petri, che su The Mission ha dato un parere meno drastico. //Start section to modify var ed_Related_Result_Number = 0; //Define the max number of result […]