Urrà! Possiamo tirare un grande sospiro di sollievo. La vittima identificata nella strage di Prato è un irregolare. La nostra coscienza è sollevata, non dobbiamo essere tristi a tutti i costi.
Anzi, a leggere i commenti nei quotidiani online c’è quasi da esultare: “Sette in meno”, scrive qualcuno, come se la convivenza sia una partita a dama dove per sopravvivere devi fagocitare le pedine dell’avversario. E chissà qual è questo avversario.
In questa veglia funebre capovolta, a rassicurare c’era anche Repubblica.it: con un’apertura cubitale sull’irregolarità del riconosciuto ci faceva indignare ma non dispiacere; viene quasi da pensare che in quanto fuorilegge se l’è cercata. Come a dire che la vita la merita solo chi paga la monnezza, il canone e ha un permesso di soggiorno.
Sette morti e due feriti gravi nel rogo della fabbrica di Prato, dicevamo. “Se non si fa qualcosa di risolutivo, rischiamo di importare il peggio della globalizzazione”, ha detto Boldrini. E la colpa è solo nostra.
Perché nessuno in coscienza può affermare di non sapere cosa succede a Prato. Né le istituzioni, né la politica, né i cronisti impegnati nel sociale. Ma fa comodo un po’ a tutti averla così, visto che non parliamo di un antiestetico suq ma di un polo industriale dove mezza Europa va a fare shopping compulsivo in un clima di saldi sempiterni.
Miceli della Cgil ha scritto che Prato rappresenta probabilmente la più grande concentrazione di lavoro nero che esiste nel nostro continente. Ma in fin dei conti Prato è come Rosarno, come Nardò, come Rignano Garganico, come Castelvolturno. Poco importa che i “boss” in questione siano ‘ndranghetisti, camorristi o imprenditori cinesi senza scrupoli.
Quello che davvero conta sono due grandi assenze, perpetuate di tragedia in tragedia: quella dello Stato italiano e quella del nostro interesse.
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[…] vari giorni dalla tragedia di Prato sembra come se avessimo già dimenticato quelle vittime del lavoro e di un sistema economico e […]