Le donne torturate e violentate nelle carceri irachene

Nel maggio 2012 Hanan al- Fadl (nome di fantasia) stava facendo la spesa in un mercato nel centro di Baghdad, quando le forze di sicurezza in abiti civili l’hanno sequestrata, caricata su una macchina e condotta presso l’ufficio di un ente statale. Lì l’hanno picchiata, le hanno inferto scosse con dei cavi elettrici e le hanno tirato addosso acqua fredda nel tentativo di costringerla ad ammettere di aver preso una mazzetta. Hanan, manager di una compagnia statale che approva progetti di costruzione, si è subito resa conto che stava pagando per aver rifiutato un progetto in cui l’appaltatore avrebbe usato materiali non a norma. «Ho commesso un errore», ha detto. «Non sapevo che qualcuno di importante del governo aveva un interesse nel progetto». Hanan è stata picchiata e torturata per ore, poi ha detto che si rifiutava di confessare, fino a quando le forze di sicurezza non hanno minacciato sua figlia adolescente. «Hanno preso una sua foto sul mio cellulare e hanno detto: “Questa è [nome]?” Sapevano il suo nome, dove andava a scuola, tutto. E hanno detto: “Possiamo prenderla proprio come abbiamo preso te”. Che avrei potuto dire a quel punto?»

Un rapporto di Human Right Watch denuncia la condizione di maltrattamenti, torture e abusi sessuali nei confronti di migliaia di donne irachene detenute illegalmente. Il documento dal titolo No One is Safe (nessuno è al sicuro) contiene nelle sue 105 pagine testimonianze dirette delle prigioniere e delle loro famiglie, per la maggioranza di confessione sunnita, ma anche di medici e avvocati che denunciano la detenzione illegale di migliaia di donne trattenute per mesi, a volte anni, senza subire prima un processo. Human Rights Watch ha inoltre esaminato documenti giudiziari e informazioni esaustive raccolte grazie a incontri con le autorità irachene, tra cui il Ministero della Giustizia, dell’Interno e della Difesa nonché attraverso i funzionari del Ministero per i Diritti Umani, e due vice primi ministri.

“Le forze di sicurezza irachene e i funzionari si comportano come se i brutali abusi nei confronti delle donne rendessero il Paese più sicuro”, ha dichiarato Joe Stork, vicedirettore di Human Rights Watch per il Medio Oriente e il Nord Africa. Nel gennaio 2013, il primo ministro Nuri al-Maliki aveva promesso di riformare il sistema di giustizia penale cominciando dal liberare le donne detenute che avevano ordinanze giudiziarie di rilascio. Un anno dopo, le condizioni sono rimaste invariate e la brutalità delle forze di sicurezza è rimasta sostanzialmente la stessa, con la conseguenza che centinaia di donne sono ancora detenute illegalmente in carcere.

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CITTADINI DI SECONDA CLASSE. A soffrire dei gravi difetti del sistema di giustizia penale, di cui è responsabile la debole magistratura irachena afflitta dalla corruzione, sono sia uomini che donne, tuttavia le donne subiscono il doppio a causa del loro status di cittadine di seconda classe nella società irachena. Secondo le informazioni raccolte da Human Rights Watch e le testimonianze di attivisti della società civile e di organizzazioni non governative internazionali, le donne sono spesso prese di mira non soltanto per i reati di cui sono accusate loro stesse, ma anche di quelli imputati agli uomini membri della loro comunità. Inoltre, una volta arrestate, anche se rilasciate indenni, esse sono spesso stigmatizzate dalla famiglia o dalla comunità, che le considerano da quel momento disonorate.

LE RIVENDICAZIONI RELIGIOSE. Da anni l’Iraq vive una condizione di estrema instabilità politica e sociale causata in maggior misura dalle rivalità tra sunniti e sciiti intensificatasi soprattutto a partire dalla Rivoluzione Islamica dell’Iran nel 1979 (che ha portato alla cacciata dello Scià e all’instaurazione di una teocrazia islamica sciita, in forte contrapposizione con tutti i paesi governati dai sunniti nel Golfo Persico) e dalle alleanze che ne sono conseguite. In Iraq, sotto la dittatura di Saddam Hussein (un sunnita), la comunità sciita subì una violenta oppressione. Con la caduta di Saddam e l’intervento militare degli Stati Uniti, iniziato nel 2003 e terminato nel 2011, e il conseguente indebolimento dei sunniti, gli sciiti sono diventati il gruppo dominante nella società irachena. Tuttavia l’attuale primo ministro sciita, Nuri al Maliki (al governo dal 2006),non è riuscito a stabilizzare il Paese e a fermare le violenze settarie, ed è stato accusato di fomentare queste violenze per assicurare la posizione del suo partito al potere. Vere e proprie campagne di repressione sono state avviate nei confronti dei sunniti e le operazioni militari si sono intensificate nel 2013 interessando soprattutto i quartieri sunniti del Paese. Circa 4.000 persone sono morte nel 2013 a causa degli attacchi e delle esplosioni. A gennaio del 2014, nella provincia di Anbar gli scontri tra le forze governative, i gruppi legati ad al-Qaeda e le milizie locali e tribali sunnite hanno fatto decine di morti. I residenti della provincia, intervistati da Human Right Watch, hanno espresso la loro frustrazione e sfiducia nei confronti delle forze di sicurezza che non stanno mantenendo le promesse fatte alla comunità e la cui politica sta minando gli sforzi militari del governo contro al-Qaeda ad Anbar.

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TORTURE “CREATIVE”. In questa situazione di instabilità le donne sono le vittime maggiori. Tra dicembre 2012 e aprile 2013, Human Right Watch ha intervistato 27 donne adulte e 7 adolescenti che hanno confessato di essere state malmenate, violentate o minacciate di violenza sessuale da parte delle forze di sicurezza durante gli interrogatori. Molte di loro sono state torturate, appese a testa in giù e sottoposte alla tecnica della falaqa, un metodo di tortura che consiste nel colpire le piante dei piedi della vittima con una frusta per infliggere dolore ai tendini e alle ossa del piede. Interrogate non sui reati di cui erano responsabili o implicate in prima persona, ma circa le attività degli uomini della loro famiglia o comunità e costrette spesso a firmare dichiarazioni che non avevano neanche il permesso di leggere e ad imprimere su di esse le loro impronte digitali. Alcune donne hanno riportato cicatrici e bruciature inferte dalle tecniche di tortura utilizzate, tra cui scosse elettriche.

ABUSI E MINACCE. Grazie alle sue ricerche, Human Rights Watch ha scoperto che le forze di sicurezza irachene arrestano regolarmente le donne in maniera illegale e commettono violazioni continue in tutte le fasi del processo giudiziario al quale sono sottoposte. Oltre agli abusi e alle torture vengono loro rivolte minacce nei confronti dei loro figli e della loro famiglia. Il sistema giudiziario è spesso assente e inosservante delle regole e di conseguenza i giudici evitano di indagare sulle accuse e sugli abusi. Questa indifferenza e noncuranza incoraggia la polizia a falsificare le confessioni e ad utilizzare la tortura come tecnica di confessione di reati non commessi.

ANTITERRORISMO SOSPETTO. Sono circa 4.200 le donne detenute in Iraq e la maggior parte di esse sono sunnite, tuttavia gli abusi riguardano tutte le comunità e le classi sociali della società irachena e gli arresti sono spesso casuali e di massa. «Non sappiamo di chi abbiamo più paura, se di al-Qaeda o degli SWAT [Special Weapons and Tactics, un gruppo di forze speciali che effettuano operazioni antiterrorismo n.d.r.]», ha detto una residente della città di Fallujah. «Perché dovremmo aiutarli a combattere Al-Qaeda quando perseguitano noi appena hanno finito con loro?».

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Secondo il rapporto di Human Right Watch nella maggioranza dei casi le donne arrestate non avevano la possibilità di rivolgersi a un avvocato prima o durante il loro interrogatorio, a volte perché non potevano permetterselo economicamente, ma spesso perché gli avvocati hanno paura di prendere in carico casi “politicamente sensibili”. In ogni caso non sono state aperte quasi mai inchieste sugli abusi delle donne che avevano denunciato i loro torturatori. Spesso le accuse sono state respinte dai giudici che affermavano di non aver trovato nessun segno sul corpo della donna che facesse pensare a un abuso, oppure che i segni sul corpo erano già presenti e causati in precedenza.

Human Right Watch chiede che sia data priorità assoluta a questa realtà e alle brutali condizioni a cui sono sottoposte le donne e che questi abusi vengano riconosciuti ufficialmente. Il rapporto esorta le autorità irachene a indagare sulle denunce di tortura e di maltrattamento perseguendo i responsabili, i membri delle forze di sicurezza e il sistema giudiziario se necessario.

Per Human Right Watch, questo è un prerequisito per arginare le violenze che minacciano l’instabilità del Paese, poiché abusi come questi provocano una spaccatura profonda nella società irachena e la mancanza di fiducia tra le diverse comunità irachene e le forze di sicurezza. Questa condizione risiede nel cuore dell’attuale crisi in Iraq e tutti gli iracheni ne stanno pagando il prezzo.


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