“Hanno ucciso i miei figli brutalmente davanti ai miei occhi”. A parlare è Oure, una donna musulmana i cui quattro figli sono stati uccisi lo scorso 26 gennaio dai combattenti cristiani anti-Balaka nei pressi di Baoro, nella Repubblica Centraficana. E’ una delle tante storie di violenza denunciate da un rapporto pubblicato in questi giorni da Amnesty International, secondo cui dall’inizio del 2014 nel paese è in corso una vera e propria pulizia etnica nei confronti della popolazione musulmana.
Le violenze sono il risultato diretto della crisi iniziata nel dicembre del 2012, quando le forze seleka a prevalenza musulmana hanno lanciato un’offensiva culminata nella presa del potere, nel marzo 2013, da parte di Michel Djotodia che ha rovesciato il cristiano François Bozizé proclamandosi Presidente della repubblica. Rimaste al governo per circa 10 mesi, le forze seleka hanno compiuto massacri, esecuzioni extragiudiziali, stupri, torture, saccheggi e distruzioni di massa nei confronti delle comunità cristiane fino a quando lo scorso 10 gennaio Djiotiba non è stato costretto all’esilio in Benin. Dopo la fuga di Djotodia, intere comunità musulmane sono state costrette a fuggire e centinaia di civili sono stati uccisi dalle milizie anti-Balaka (letteralmente “anti-machete”), gruppi armati cristiani nati dopo il colpo di stato che aveva rovesciato Bozizé.
Le continue violenze che hanno coinvolto sia le comunità cristiane, per la maggior parte stanziali, che le comunità musulmane, prevalentemente nomadi, avevano spinto il Consiglio di sicurezza dell’Onu, nel dicembre 2013, ad autorizzare l’invio dei caschi blu nel paese. La forza di peacekeeping, composta da 5500 soldati dell’Unione africana e da 1600 soldati francesi, è stata posta a protezione della capitale Bangui e di altre città a nord e a sudovest. Alla ritirata delle forze seleka, la forza internazionale di peacekeeping non è però riuscita ad arginare le milizie anti-balaka che hanno riconquistato il territorio, perpetrando violenze indicibili nei confronti delle comunità musulmane per vendicare le violenze subite nei mesi precedenti.
Nel suo rapporto Amnesty International contesta la tiepida reazione della comunità internazionale alla crisi in corso da oltre un anno nella Repubblica Centrafricana, mettendo in evidenza come i caschi blu dispiegati nel paese siano stati poco efficaci nel contrastare le milizie anti-balaka e proteggere la comunità musulmana. Nelle ultime settimane, in particolare, Amnesty ha raccolto oltre 100 testimonianze dirette di attacchi su larga scala compiuti contro la popolazione civile nelle città di Bouali Boyali, Boussembele, Bossemptele e Baoro. L’attacco più grave è avvenuto il 18 gennaio a Bossemptele e ha provocato almeno 100 vittime, tra cui donne, bambini e anziani.
Il presidente di transizione della Repubblica Centrafricana Catherine Samba Panza, eletta il 20 gennaio dal Parlamento, nei giorni scorsi si è detta molto preoccupata per la situazione che si è venuta a creare ed ha dichiarato di “voler fermare le milizie anti-balaka, colpevoli di numerosi abusi soprattutto contro la comunità musulmana”. La situazione sembra però fuori controllo e secondo Amnesty International solo un impegno concreto della comunità internazionale può fermare le violenze in un paese che al momento non ha la forza per arginare le bande armate cristiane e musulmane. Anche l’ambasciatore francese all’Onu, Gerard Araud, ha richiesto un maggiore impegno dell’Onu affermando che per ristabilire l’ordine “sarebbero necessari almeno 10mila caschi blu“.
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