In un paese dove un quarto dei cittadini è nato fuori dai confini nazionali, l’UDC ha trovato terreno fertile per una consultazione dove si mettesse il freno all’entrata di nuovi cittadini in cerca di lavoro.
Il 9 febbraio si terrà, in Svizzera, una consultazione che farà discutere e che potrebbe far tornare, sul campo dell’immigrazione, il Paese indietro di decenni: i cittadini saranno chiamati a dire la loro sulla proposta di rinegoziare il Trattato Europeo sulla libera circolazione di merci e persone sul tutto il territorio della Confederazione.
Se dovesse vincere il “Si” verranno varate norme più severe sull’entrata di immigrati nel paese. La proposta è stata avanzata dall’ UDC (Unione Democratica di Centro), partito della destra che ha vinto le ultime elezioni col 26% di voti, e che ha fatto della lotta contro l’immigrazione uno dei suoi cavalli di battaglia: in un paese dove un quarto dei cittadini è nato fuori dai confini nazionali, l’UDC ha trovato terreno fertile per una consultazione dove si mettesse il freno all’entrata di nuovi cittadini in cerca di lavoro; se il referendum dovesse avere esito positivo, la Svizzera ritornerebbe, come decenni fa, alle cosiddette “quote”, ossia il flusso di lavoratori stranieri verso il paese sarebbe regolato da tutta una serie di caratteristiche che il lavoratore stesso dovrebbe possedere (come ad esempio il paese di provenienza, la disponibilità di posti, la professione, il livello di studi etc ).
Naturalmente in questa categoria rientrano pienamente anche i lavoratori frontalieri, gli stessi che la Lega Ticinese voleva allontanare pochi anni fa. Inutile dire che l’Italia, con i suoi migliaia tra frontalieri e residenti, sarebbe la prima nazione ad essere danneggiata dai nuovi provvedimenti : basti pensare che l’afflusso verso i cantoni è aumentato anno dopo anno dal 2003, e le regioni più colpite sarebbero naturalmente quelle confinanti con la Svizzera, quelle stesse regioni dove la Lega di Bossi ringhiava contro gli immigrati (e non solo).
Gli ultimi anni di crisi economica non hanno fatto altro che aumentare il persone che bussano alla porta del fortino svizzero: oltre agli italiani, tradizionali emigranti nel paese, si sono aggiunti negli ultimi anni i neo-europei di Romania e Bulgaria, oltre a numerosi altri; l’UDC ha fatto leva sulle paure dei cittadini, ossia sull’indebolimento (se non addirittura la perdita) del welfare elvetico, welfare che tratta tutti gli abitanti come cittadini di serie A e che assicura un elevatissimo tenore di vita. Ci aveva provato già tuttavia, nel 1970, James Schwarzenbach, un deputato del’assemblea, a far indire un referendum per rimandare a casa propria gli immigrati, ma il no vinse di stretta misura. Oggi invece l’establishment politico e finanziario elvetico cerca di mantenere bassi i toni e di rassicurare i vicini, evidenziando la certezza di una vittoria del “No”, e spiegando come gli immigrati siano una ricchezza per la nazione.
In ogni vigilia di referendum che si rispetti, non sono mancati i sondaggi: il “No” prevarrebbe, a livello nazionale, di stretta misura, anche se nei maggiori centri urbani, dove c’è più offerta di lavoro, sarebbero invece i “Si” ad avere la maggioranza, mentre da contrappeso sarebbero invece i cantoni interni e più scarsamente popolati.
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