Scontri in Bosnia: “Il mio paese alza la testa dopo vent’anni di silenzio”

“La classe politica si rivolge ai rivoltosi come fossero ‘hooligans’, ma in realtà in molti sono spaventati proprio dalle forze dell’ordine” – ci racconta Alan, nostro contatto a Sarajevo.

Foto: Klix.ba

 di Luca La Gamma

Il 5 Febbraio ha segnato l’inizio di una serie di proteste antigovernative che stanno minacciando la stagnante situazione politica che da anni caratterizza la Bosnia ed Erzegovina.

Le proteste, iniziate a Tuzla per mano di operai che davanti a privatizzazioni e bancarotta di fabbriche richiedevano provvedimenti per lavoro, pensioni e salari non pagati, si sono estese a macchia d’olio nel giro di pochi giorni in altre 33 città bosniache.

Dopo la guerra dei Balcani finita nel 1995, la Bosnia è stata animata da una serie di piccole proteste di carattere sociale che, fino al 2006, diedero modo di sperare in un qualche miglioramento per lo Stato. Da quel momento, però, si instaurò nella politica bosniaca (come in quella dei Balcani in generale) uno stato di stallo che, anno dopo anno, non riuscì a far fronte ai problemi economici e politici. Il risultato oggi è uno Stato disorganizzato e non funzionale diviso in due grandi parti e altrettante fazioni interne non in grado, anche per via del muro costruito verso Europa e America a livello costituzionale, di affrontare la grande crisi economica.

Stando ai dati della BBC, alla base dell’odierna protesta (che vede almeno 200 feriti, scuole chiuse, decine di arresti e l’incendio dei palazzi governativi di Tuzla, Sarajevo e Zenica), c’è un sentimento di rabbia nei confronti di corruzione e nepotismo del governo. Un sentimento che ha bollito a fuoco lento per anni fino ad esplodere definitivamente davanti ad un tasso del 27,5% di disoccupazione e alla privatizzazione corrotta di grandi compagnie al fine di ottenere veloci profitti prima di dichiarare la bancarotta lasciando fabbriche (e dipendenti) sull’orlo del fallimento.

Una protesta iniziata per mano di operai e presto appoggiata da studenti, lavoratori e attivisti politici è quella che sta animando le strade della Bosnia in questi giorni. “Credo che da questo momento non si possa più tornare indietro” dice Dusica Ikic-Cook, una business administrator di Tuzla.

“La classe politica si rivolge ai rivoltosi come fossero ‘hooligans’, ma in realtà in molti sono spaventati proprio dalle forze dell’ordine” – ci racconta Alan, nostro contatto a Sarajevo. “I politici si stanno rendendo conto che la gente sta concretamente prendendo potere e temono di poter perdere il ruolo di leadership nel Paese. Per far fronte a questo problema accusano di teppismo i dimostranti che per venti anni hanno taciuto e ora stanno iniziando a farsi sentire. Nel canton Tuzlanskodobojski e in quello Zenickodobojoski i governativi  stanno abbandonando le poltrone e la polizia marcia con i dimostranti, cosa che non sta succedendo a Sarajevo nè nei canton Uskosanski e Hercegovacki. Questa è la ragione per cui le lotte li si stanno facendo più aspre. Il governo invece di affrontare i problemi cerca di fuggirli gettando acqua sopra le ragioni scatenanti della rivolta. La polizia effettua arresti random tra gli abitanti e si reca in bar e ristoranti picchiando persone senza alcuna ragione. Credo che la prossima settimana la situazione diventerà ingestibile ed esploderà ”.

E’ ancora troppo presto per prevedere come si evolverà la situazione in Bosnia e se a breve si potrà parlare di vera primavera, ma nell’evoluzione dei fatti sono senza dubbio da prendere in considerazione altri tre grandi eventi: le elezioni generali del prossimo ottobre, il World Cup a cui parteciperà parte della squadra bosniaca e la commemorazione a Sarajevo del centesimo anniversario dell’assassinio dell’Arciduca Francesco Ferdinando che scatenò la Prima Guerra Mondiale.


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