di Elena Dalla Massara
Dopo 7 ore di viaggio arriviamo al villaggio di Kasika (regione del Nord Kivu, Repubblica Democratica del Congo), al confine con il Rwanda e il Burundi. Sono ormai le 13. Da lontano intravediamo un colore uniforme che emerge sempre di più dal verde della natura rigogliosa che circonda il villaggio e tutta la regione.
Mano a mano che ci avviciniamo il colore prende la forma di centinaia di donne, uomini e bambini. Ci aspettano dalle 6 del mattino e ora che vedono la jeep ci preparano il loro benvenuto: canti, balli, sorrisi e urla di gioia. Solo per noi. Solo per me, che arrivo da lontano.
Scendo dall’auto e raggiungo il centro di assistenza attraverso uno stretto viottolo creatosi tra la gente. Sento il calore dei loro corpi e mi perdo nella luce dei loro occhi. In quel breve tratto vivo una delle emozioni più forti che abbia mai provato: il cuore comincia a battere veloce e non riesco a trattenere le lacrime, che sono indubbiamente di felicità. In quel momento mi sento la persona più speciale e amata del mondo, circondata da un calore mai incontrato prima, mai in quella intensità e con quella spontaneità. Penso a quanto sappia essere speciale l’essere umano e che mondo meraviglioso sia il nostro.
Anche perché so che dietro a quei volti sorridenti e generosi nel regalare emozioni, si nascondono drammi ai limiti dell’umanità. Le donne che ora cantano e mi accarezzano dolcemente sono le stesse che la notte prima sono state violentate da militari o paramilitari, poi costrette a cucinare per loro. I bambini sono orfani che hanno assistito alla morte dei loro genitori in casa (anche solo per un pollo o una dispensa da svuotare) e che ora vivono con i vicini, che li curano come loro figli. Alcuni uomini sono ex-bambini soldato, rapiti dalle loro famiglie e costretti in tenere età a impugnare un kalashnikov per uccidere parenti e amici, prima dei ‘presunti nemici’ (come han fatto loro credere).
È questa la variegata e per noi incredibile vita in Congo. A raccontarla e a farmela conoscere durante un viaggio nel 2010 è Colette Habanawema Kitoga, fondatrice e responsabile del Centro Mater Misericordiae che dal 1995 offre assistenza medica, psicologica e umana a bambini soldato, orfani e vittime di guerra in 4 sedi dislocate nel mezzo della foresta, dove le ONG occidentali non arrivano perché è troppo pericoloso. Ad arrivare però sono uomini armati, con le peggiori intenzioni.
Nelle sedi del Mater Misericordiae psicoterapeuti, infermieri, operatori e volontari aiutano e accolgono oltre 3.000 bambini tra cui orfani che hanno assistito al massacro delle loro famiglie, bambini soldato che fuggono dall’esercito e dalla guerriglia, giovani sfruttati nelle miniere di oro e coltan, bambine e ragazze vittime di violenze. All’origine c’è una guerra dimenticata, che dal 1996 ha prodotto oltre tre milioni di morti, tra vittime dirette di scontri e massacri e quelle decimate dalla fame e dalle malattie. E i numeri continuano a crescere. La causa degli scontri? Il controllo e il saccheggio sistematico delle risorse naturali come oro, diamanti, coltan e legnami pregiati, di cui il Congo è ricchissimo.
Come associazione Cucimondo abbiamo conosciuto Colette in uno dei suoi viaggi in Italia, dove ha studiato da giovane fino a laurearsi in medicina e psicoterapia. Ascoltando i suoi racconti, verificando la sua preparazione e credendo nell’importanza di una cooperazione locale, progettata e gestita da congolesi per congolesi, nel 2009 abbiamo deciso di sostenerne i progetti. Ogni anno cerchiamo di inviare più aiuti possibili, anche perché sappiamo che associazioni come quella di Colette non raggiungono i finanziamenti delle ONG occidentali.
La collaborazione con il Mater Misericordiae continua ancora oggi, regalandoci grandi soddisfazioni e continue emozioni nel realizzare quelli che a noi possono sembrare piccoli progetti ma che sono fondamentali per le persone del luogo, dando loro la speranza di una nuova vita: pagamento delle tasse scolastiche per centinaia di bambini e ragazzi (un modo per toglierli dalla strada e assicurare loro un pasto al giorno), acquisto di materiale di scuola, costruzione di case per orfani, avviamento di piccoli progetti di agricoltura e allevamento (acquisto di galline, costruzione del pollaio, ecc.).
Siamo convinti di aver fatto una scelta giusta, lasciando che specialisti congolesi aiutino i loro connazionali, comprendendo fino in fondo le loro difficoltà ed esigenze, senza intervenire con i nostri modelli di sviluppo ma fidandoci fino in fondo nelle loro capacità di crescita. Umana, prima e più che economica.
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Già!Stessa accoglienza,stesse emozioni..straordinario popolo Congolese!
Complimenti elena…