Newruz nel Kurdistan turco nel segno di Ocalan. Ma c’è chi difende Erdogan

 

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di Valeria Ferraro

Turchia. Si è conclusa domenica la settimana dedicata alle celebrazioni per il Newruz, festività religiosa che simboleggia l’arrivo della primavera e l’inizio del nuovo anno per i curdi.

Venerdì 21, ad un anno dal “cessate il fuoco” tra curdi e turchi e a pochi giorni dalle elezioni amministrative in cui è fortemente messa in discussione la leadership del principale interlocutore del processo di riconciliazione, ovvero il partito al governo Giustizia e Sviluppo (Adalet ve Kalkınma Partisi, AKP), centinaia di persone, curdi ma anche rappresentanti di delegazioni internazionali e turisti, sono affluite nell’antica città di Diyarbakır, o in curdo Amed, per assistere alla rituale cerimonia d’accensione del fuoco.

In passato, soprattutto negli anni Novanta, dire Newruz equivaleva – quasi – a dire festa della resistenza curda e scontri tra i cittadini della regione per la rivendicazione dell’indipendenza del popolo curdo.

La cerimonia del 2013 ha rappresentato un momento di svolta per il rapporto tra i due popoli. La pubblica lettura del messaggio di Abdullah Öcalan, il leader del Partito dei Lavoratori Curdo (PKK) detenuto nel carcere di Imrali, ha sancito ufficialmente la fine della lotta armata e l’avvio del processo di riconciliazione tra le parti, sostenuto dall’AKP e dai due partiti pro-curdi, il Partito Democratico dei Popoli (Halkların Demokratik Partisi– HDP) e quello minoritario curdo, il Partito della Pace e Democrazia (Barış ve Demokrasi Partisi – BDP).

L’intesa tra le varie parti prevedeva il disarmo e la riabilitazione dei membri del PKK e un dialogo con il governo turco per l’avvio di negoziati per il riconoscimento dei diritti dei curdi.

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 Nel corso dell’anno, se parte dei curdi è iniziato il processo di disarmo, da parte del governo ci sono stati timidi segnali di apertura con alcune concessioni (uso dell’alfabeto curdo, possibilità di studiare la lingua nelle scuole private, facilitazioni per i detenuti malati…) ma le riforme per una maggiore autonomia sono state rimandate a dopo le elezioni, soprattutto, dopo l’escalation di tensioni sociali della scorsa estate, risultate nelle proteste di Gezi e, più recentemente, gli scandali sulla corruzione dell’AKP.

In particolare, lo stallo del processo di riconciliazione sarebbe intrinsecamente legato all’indebolimento del partito al governo dopo le frizioni e le accuse di corruzione, fomentate -così dicono gli esponenti del partito- dai membri di uno dei suoi precedenti alleati, la comunità Hizmet che, guidata dal predicatore islamico Fetullah Gülen, è una sorta di rete informale transnazionale ben radicata nei settori dell’educazione e dei media. Tra i vari punti di conflitto tra la comunità e il partito vi sarebbero le strategie per la risoluzione della “questione curda”. Se l’AKP propende per una strategia dall’ “alto verso il basso”, tesa al disarmo e alla riabilitazione prima e alla negoziazione dei diritti poi, la comunità di Gülen adotta un approccio più nazionalista, teso all’annientamento dei gruppi armati ma si proclama, altresì, in difesa dei diritti dei curdi, proponendo una strategia “dal basso verso l’alto”, ovvero attraverso il riconoscimento di vari diritti sociali, come ad esempio, allo studio.

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Negli ultimi mesi, ad aumentare le tensioni nell’area si sono aggiunte le proteste per l’abbattimento degli alberi degli storici giardini di Hevsel, inseriti nella lista provvisoria del Patrimonio Mondiale dell’UNESCO, in cui la motivazione ecologica è diventata il pretesto per esprimere un malcontento sociale che, come nel caso delle proteste di Gezi, è sfociato in scontri tra manifestanti e polizia.

Ancora più recentemente, le proteste per la morte di Berkin Elvan, il bambino colpito la scorsa estate da un lacrimogeno della polizia ad Istanbul e caduto in coma, hanno avuto un eco particolare nella regione mescolandosi alle richieste di giustizia per il massacro di Roboski, piccolo villaggio nel distretto di Uludere in cui, il 28 novembre 2011, 34 civili curdi furono uccisi nel corso di un’azione militare turca.

Nella settimana precedente alla cerimonia, le tensioni per l’uccisione di tre militari turchi, probabilmente da parte soldati siriani, un pacco bomba alla sede del partito il 19 marzo e, infine, l’emissione della sentenza EU sul maltrattamento di Öcalan, facevano temere il peggio per questa edizione della cerimonia.

Invece, nonostante le premesse, la celebrazione del 21 marzo a Diyarbakır si è svolta pacificamente.

Complice la splendida giornata di sole, la folla è iniziata ad affluire al parco Newroz fin dal primo mattino, usufruendo degli autobus messi a disposizione dalla municipalità e percorrendo a piedi l’ultimo tratto tra colonne di famiglie e cortei di giovani che inneggiavano ad Öcalan.

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Al parco, e in tutta la vasta area intorno, la mattinata è trascorsa serenamente tra balli, musica e gli immancabili discorsi dei politici che, a pochi giorni dalle elezioni, hanno enfatizzato la necessità di proseguire insieme nel percorso di pace, evocando le antiche origini mesopotamiche e la storica coesistenza di più genti nel territorio.

L’attenzione del pubblico, però, è stata catalizzata dalla lettura del messaggio dell’acclamatissimo Öcalan, poco prima dell’accensione del fuoco.

In sintesi, come riportato anche dal quotidiano Sabah, sulla scia del precedente anno, il leader del PKK ha riconfermato il suo atto di fiducia nei confronti dell’AKP e ha invitato la gente a proseguire il dialogo a patto che dalle parole e dalle intenzioni si passi a dei negoziati in un quadro normativo legale.

Le parole di Öcalan sembrano indicare che le relazioni tra curdi e turchi sono, quindi, in una fase di attesa, o volendo di stallo, fino alle prossime elezioni.

Intanto, nei giorni successivi, è continuata la promozione elettorale dei vari partiti. In particolare, il 22 marzo, gruppi di donne e ragazzi consegnavano pacchetti regalo dell’AKP, contenenti brochure con le proposte del partito, la biografia del candidato Abdurrahman Kurt e piccole scatole di caffé che simboleggiavano la familiarità con cui il partito si rivolge ai cittadini.

Alla domanda sul perché del loro sostegno al Premier turco, nonostante i recenti scandali, alcune donne hanno spiegato che, negli ultimi anni, le iniziative di Erdoğan hanno portato a nuovi progetti edili e di riqualificazione urbana e, soprattutto, ad un clima più disteso e meno morti. Come ha affermato una donna: “Mio figlio è un militare. Muoiono i nostri figli e muoiono i loro. Sono fratelli non dovrebbero succedere queste cose“.

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Ma, il riconoscimento dei meriti dell’AKP è solo una parte dell’opinione pubblica. Come ha spiegato un esponente del BDP, oltre ai progetti locali resta il problema del riconoscimento dell’identità curda: “L’AKP e la comunità (riferendosi alla comunità di Gülen, nda) facciano ciò che vogliono, noi andiamo diritti per la nostra strada. Quello che vogliamo è la libertà e identità. Se vai in giro senza documenti, chi sei? Nessuno. Questo è il nostro problema, l’identità“. Oltre che un equo sviluppo delle città del Sud-Est e del Nord-Ovest.

D’altra parte, insieme all’HDP, il BDP mira ad essere uno dei principali attori politici della regione ed esprime l’atteggiamento di attesa non passiva, riassumibile nella scritta “o consultazione o guerra” (“Ya müzakere ya savaş“) riportata anche sugli striscioni esposti durante la celebrazione del Newruz a Diyarbakır.

Le prossime elezioni saranno, quindi, un momento decisivo anche per il proseguimento dei negoziati di pace tra curdi e turchi o per nuove tensioni, qualora non si raggiungessero risultati soddisfacenti per le parti coinvolte, nuove tensioni.


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