di Nicola Martino
Le dinamiche migratorie planetarie dell’ultimo ventennio sono state analizzate da un minuzioso studio dei dati raccolti dall’Organizzazione delle Nazioni Unite ed elaborati da una équipe multidiciplinare del Wittgenstein Centre for Demography and Global Human Capital di Vienna. Si parla di un arco temporale sufficiente per disporre di un quadro che non sia approssimativamente condizionato dalle demagogiche strumentalizzazioni di natura politica. Numeri imponenti che confermano la consistenza del fenomeno, nella maggior parte dei casi originato dalla totale assenza di prospettive lavorative negli stati di partenza, da lunghi conflitti cruenti, oppure da condizioni di assoluta invivibilità.
Sono più di centocinquanta le nazioni prese in considerazione dal gruppo scientifico che si è impegnato in una ricerca mai condotta finora. L’analisi è stata resa possibile dall’introduzione da parte dell’ONU di parametri standard capaci di restituire esiti verificabili sul piano empirico. Ciò che emerge dall’osservazione degli esiti prodotti dall’indagine indica che nel corso del periodo preso in considerazione, tra il 1995 e il 2013, l’indice percentuale degli spostamenti non ha subito variazioni, contrariamente a quanto verificatosi nel quinquennio precedente.
IN FUGA DALLA CRESCITA. La differenza riscontrata nel corso del tempo riguarda i luoghi dai quali i popoli si mettono in movimento: contrariamente a quanto accaduto nella prima fase, segnata dalla dislocazione di persone originarie delle regioni con i più alti tassi di povertà, le migrazioni adesso interessano in particolare individui nati in aree che hanno già imboccato la strada della crescita. Uomini e donne che, dunque, sfruttano al meglio, un grado apprezzabile della formazione loro offerta e la disponibilità di infrastrutture per la mobilità. Nello specifico, il rapporto stilato dal gruppo di scienziati ha evidenziato che la fascia mediorientale è l’area di arrivo preferita. A raggiungerla sono per lo più persone che, attratte dalle opportunità nate grazie alla crescita esponenziale del settore edilizio, si sono mosse dai Paesi del quadrante orientale del Continente asiatico.
VERSO IL PETROLIO. Una ricchezza, quella delle zone di destinazione, che ha alla base i giacimenti petroliferi. L’attenta investigazione dei flussi ha consentito di sfatare il luogo comune che vuole l’Occidente assediato da un esercito di disperati. Una conclusione certificata, peraltro, da un ulteriore elemento scovato dallo staff di ricercatori: il volume di soggetti che migrano all’interno dello spazio che si trova al di là del Sahara è di gran lunga più cospicuo, circa il doppio, se rapportato a quanti si mettono in viaggio per arrivare dentro i confini europei. Aderente, invece, a quel che è facilmente osservabile nella quotidianità è l’esito relativo al passaggio da uno stato all’altro: il numero maggiore di migranti si registra lungo la frontiera che separa il Messico dagli Stati Uniti che, del resto, sono il traguardo per il quale opta la schiera numericamente più affollata di persone. L’esame e la conseguente descrizione che ne sono derivati hanno il pregio di conferire chiarezza ad una dimensione epocale troppo spesso schiacciata da interessi di bottega partitici. Individuare con precisione le rotte tracciate dalla varia umanità che fugge dovrebbe costituire un prezioso strumento a supporto della formulazione delle politiche regolatrici, sia a livello nazionale che sovranazionali.
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