Essere rifugiati in Israele. Tra prigioni nel deserto e discriminazioni religiose

Nel cuore del deserto del Negev, circondato da chilometri di aridità e siccità, sorge il Centro di Detenzione Holot per richiedenti asilo. Maawiya Mohammed Adam, un sudanese di 28 anni che è entrato in Israele nel 2008 per fuggire dalla guerra civile del proprio paese, è stato detenuto a Holot per gli scorsi sei mesi. “Per i non ebrei”, dice Adam, “cercare asilo nello Stato Ebraico è una cattiva idea”.

“Se io fossi stato un ebreo, ora starei in ottime condizioni e Israele mi riconoscerebbe lo status che merito. Ma siccome sono musulmano e nero, la mia sorte è sofferenza”, ha dichiarato Adam a  di Mint Press News. Si trova ora all’esterno di Holot, sotto il torrido sole estivo. “Israele si preoccupa di non avere musulmani e persone di colore nella sua comunità, e questa è la ragione principale per cui non sono molto ottimista sullo stare in Israele”.

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Il 92% dei 50mila richiedenti asilo in Israele sono musulmani del Sudan o cristiani dall’Eritrea, entrati nel Paese come clandestini tra il 2006 e il 2012. Secondo la Legge del Ritorno, gli ebrei hanno pieni diritti civili in Israele; ma gli africani non ebrei rappresentano una scottante sfida demografica. Almeno secondo i leader politici israeliani. Nel 2012 il Primo Ministro Benjamin Netanyahu ha dichiarato che gli “infiltrati” africani che invadono il Paese sono una “minaccia esistenziale” all’identità ebraica di Israele. L’ex ministro degli Interni Eli Yishai dichiarò di voler “rendere amara la vita dei clandestini” fino a quando non avessero lasciato il Paese.

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Senza possibilità di ottenere legalmente un lavoro e senza copertura medica, molti richiedenti asilo vengono rinchiusi nella menzionata prigione di Holot. “Il governo vuole costruire un paese ebraico ma io non sono ebreo” ha dichiarato Suliman Walyaldin, un sudanese che vive a Tel Aviv dal 2012 costretto in un limbo di permessi da rinnovare senza avere la possibilità di lavorare. “Il governo non ci vuole”, ha aggiunto Suliman, “perché nella religione ebraica non è permesso sposare qualcuno all’infuori della propria religione e, se noi restassimo, qualcuna potrebbe voler sposarsi a un eritreo o a un sudanese”.

Israele non ha alcuna linea guida in materia di rifugiati.”Israele ha ratificato la Convenzione sui Rifugiati del 1951″, ha dichiarato Walpurga Englbrecht, rappresentante dell’UNHCR in Israele. “Ma non ha legiferato né ha adottato una legge nazionale sui rifugiati in cui fossero incorporati gli obblighi assunti dalla Convenzione del 1951. Una legge fornirebbe un contesto di regole che renderebbe conoscibile se le persone che fanno ingresso nel Paese abbiano determinati diritti e obblighi. Se nulla regola questo aspetto, si forma un’area grigia che rende i rifugiati (o i richiedenti asilo) meno protetti”. Secondo i dati delle Nazioni Unite, nella maggior parte degli altri paesi occidentali circa l’82% dei richiedenti eritrei e il 68% di quelli sudanesi ottengono lo status di rifugiato.


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