Le proteste, Tahrir, ordigni esplosivi, morti, feriti e Sisi. Sono probabilmente queste le parole e le idee che più frequentemente associamo all’Egitto dell’ultimo periodo. I tumulti politici e le tensioni sociali sembrano aver superato persino le Piramidi e i Faraoni nell’immaginario comune del paese Nord Africano. I media locali non fanno altro che rinvigorire quest’immagine parziale e monodimensionale dell’Egitto, portandoci ad ignorare il complesso mosaico che prende vita dalla quotidianità di questo paese in movimento.
“Anche nei giorni di massima tensione, quei giorni pieni di tumulti e di scontri, non dobbiamo dimenticare che quando quelle donne e quegli uomini dalle piazze tornano a casa, tornano ad essere fratelli e sorelle, madri, padri e figli e continuano a vivere le loro vite quotidiane, ad andare a scuola e a giocare a pallone”. Queste parole, pronunciate con estrema partecipazione e un velo di commozione, partono dalle labbra di Tinne Van Loon, fondatrice del progetto “Everyday Egypt”, account Instagram (e anche pagina Facebook) che tramite l’utilizzo della fotografia si propone di fornire una rappresentazione più complessa e veritiera della realtà quotidiana vissuta dagli egiziani.
Tinne è una fotografa documentarista belga-americana che attualmente vive al Cairo e che ha iniziato la sua carriera come graphic designer a Chicago, in uno studio particolarmente impegnato nel sociale. “Ho iniziato questa carriera con l’idea di aiutare gli altri a comunicare le loro idee tramite il design. Ero molto felice di questa mia scelta e credevo che questo fosse il lavoro dei miei sogni. Tuttavia giorno dopo giorno sentivo che qualcosa mancava; amavo l’ambiente di lavoro e ogni giorno tornavo a casa cosciente di aver acquisito nuove abilità tecniche e professionali, eppure qualcosa mancava. Mano a mano mi rendevo conto che ciò di cui avevo bisogno era un rapporto diretto con le persone e la necessità di impegnarmi il più direttamente possibile nel sociale”. Da qui la scelta di partire con un’associazione umanitaria americana alla volta della Palestina, trovando il supporto morale e anche finanziario del suo studio di grafica. Le due settimane in Palestina, tuttavia, non furono sufficienti e la decisione di lasciare il lavoro per ritornare in Cisgiordania sembrava l’unica soluzione possibile. “Sentivo il bisogno di mostrare al mondo le gravi ingiustizie e angherie perpetuate nei confronti del popolo palestinese e per tre mesi sono andata alla ricerca di storie da ascoltare e da raccontare tramite l’obiettivo della mia fotocamera”.
Dopo aver vissuto questa intensa esperienza in Palestina, cosa ti ha portato a continuare il tuo lavoro di fotoreporter in Egitto?
Mentre ero in Palestina mi sono occupata, tra le altre, di una storia riguardante una tribù beduina. Spesso i membri della famiglia presso la quale mi trovavo mi chiedevano “mabsouta?” ( “contenta” in arabo, ndr) ed io non avevo la più pallida idea di cosa mi stessero chiedendo. Proprio in quel momento, mi resi conto della necessità di imparare un po’ di arabo e in Palestina mi era stato detto che se avessi voluto imparare il dialetto più utilizzato e compreso, mi sarei dovuta dedicare a quello egiziano.
E a quel punto sei partita per il Cairo?
Esattamente. Sono arrivata a gennaio 2013 e devo ammettere che all’inizio ero piuttosto intimidita. Una città enorme, con milioni e milioni di abitanti, caotica e con percentuali altissime di molestie sessuali. Nonostante le mie paure iniziali, sono partita alla volta del Cairo e lo scetticismo iniziale è presto svanito e non mi ci è voluto molto ad innamorarmi perdutamente del popolo egiziano e della sua ospitalità. Dopo aver lasciato il Cairo alcuni mesi dopo il mio arrivo, mi sono trasferita nella capitale egiziana in pianta stabile ad aprile di quest’anno.
Ciò che ti ha rubato il cuore è stato dunque il popolo egiziano. C’è qualche relazione tra questo amore e l’idea del progetto?
Assolutamente sì. Quando dovevo partire per l’Egitto le uniche informazioni a mia disposizione erano relative alla rivoluzione, agli scontri, all’instabilità politica e ai massacri poiché, a quanto pare, solo la tragedia è degna di diventare notizia. Eppure quando mi sono trovata in questo paese ho vissuto anche tanti altri momenti che avevano bisogno di essere raccontati al mondo. Quindi, sì, in realtà questa è proprio una delle motivazioni che mi ha spinto a fondare e portare avanti il progetto Everyday Egypt, ovvero offrire agli altri stranieri una visione più completa del paese così che possano almeno intravedere l’essenza della quotidianità egiziana e avere un’idea più realistica della sua complessità.
Bene, allora raccontaci di come è iniziato questo progetto.
A dire il vero il tutto è iniziato senza di me, nel 2012, quando Peter DiCampo e Austin Merrill hanno dato avvio al progetto Everyday Africa. Peter e Austin vivono e lavorano in Africa da anni e recentemente hanno sentito il bisogno di mostrare la vita che ogni giorno si conduce nel continente africano, che ancor più del mondo arabo e mediorientale è vittima di stereotipi e disinformazione. Per dare forma al loro progetto hanno invitato un gruppo di fotografi del continente a postare fotografie scattate dai loro cellulari sull’account Instagram Everyday Africa. L’idea ha presto acquisito un’enorme popolarità raggiungendo, attualmente, circa 100000 follower su Instagram. A seguito del successo di Everyday Africa sono nati altri account che seguivano lo stesso principio, tra i quali Everyday Middle East e Everyday Asia. Appena ho notato che ogni venerdì pubblicavano una foto tra quelle che riportavano il loro hashtag, ho deciso di menzionare l’hashtag #everydaymiddleeast nel mio lavoro. Così, un venerdì trovai una mia fotografia pubblicata su Everyday Middle East, e decisi di contattare la fondatrice Lindsay Mackenzie per ringraziarla e chiederle di aggiungermi alla lista dei collaboratori regolari.
E quindi hai iniziato a far parte del team di Everyday Middle East?
No, in realtà Lindsay mi ha consigliato di dare inizio a un progetto relativo all’Egitto, Everyday Egypt!
Come hai reagito a questa sua proposta?
Sinceramente non ci avevo mai pensato, poiché tutti gli altri account che conoscevo (a parte Everyday Iran) facevano riferimento a un continente e non a un singolo paese. Tuttavia, l’idea mi ha entusiasmato all’istante e mi sono subito messa all’opera facendo una lista dei papabili fotografi presenti in Egitto che avrebbero potuto mostrare interesse per il progetto. La maggior parte di loro mi ha risposto in giornata e in maniera molto entusiasta, chiedendomi “va bene, quando iniziamo?”
Quando ha avuto inizio il progetto?
Abbiamo iniziato a postare le prime foto qualche giorno prima dell’inaugurazione del presidente Sisi, ma abbiamo deciso di lanciare la pagina proprio il giorno del suo insediamento. Volevo un giorno significativo nel quale iniziare il progetto e quale giorno migliore se non l’inizio della presidenza di Sisi? Ancora una volta, quel giorno, il mondo avrebbe guardato al mero aspetto politico dell’Egitto. Noi, lo stesso giorno, volevamo mostrare qualcosa in più, qualcosa di diverso, qualcosa di quotidiano.
Qual è il vostro team?
Il nostro team è in continua espansione, ma inizialmente comprendeva me, Amanda Mustard, Amru Salahuddien, Jonathan Rashad, Leyland Cecco, Mahmoud Khaled, Pan Chaoyue, Roger Anis e Shadi Rahimi.
Sembra un gruppo piuttosto diversificato.
Sì e credo sia un enorme beneficio per la riuscita del nostro progetto, poiché fornisce uno sguardo sia interno che esterno alla società egiziana. Il lavoro risulta variegato e diversificato grazie alle differenti prospettive proposte all’interno del nostro account.
Qual è il vostro obiettivo?
Rompere gli stereotipi e dare un più ampio contesto alla realtà dell’Egitto che viene presentata e avvalorata all’estero. E credo che il nostro progetto possa servire da mezzo tramite il quale raccontare questa storia e questa realtà in maniera più onesta e comprensiva. Anche nei giorni di massima tensione, quei giorni pieni di tumulti e di scontri, non dobbiamo dimenticare che quando quelle donne e quegli uomini dalle piazze tornano a casa, tornano ad essere fratelli e sorelle, madri, padri e figli e continuano a vivere le loro vite quotidiane, ad andare a scuola e a giocare a pallone. Bisogna iniziare a mostrare tutte le loro emozioni e smetterla di dipingerli come uomini e donne in grado di provare solo rabbia e frustrazione.
Quindi il vostro audience è prettamente straniero?
Sorprendentemente no. Attualmente la maggior parte dei follower sono proprio egiziani, i quali si mostrano incredibilmente interessati ai vari aspetti dell’Egitto che mostriamo. Personalmente sono anche molto soddisfatta che argomenti più seri vengono tirati dentro, come foto di un rifugio per giovani madri senzatetto e altre su una manifestazione contro le molestie sessuali… questo da’ un senso diverso alla parola “everyday”. Ed essendo l’Egitto così variegato e diverso, gli Egiziani stessi hanno la possibilità di vedere realtà del loro paese di cui non avevano idea e quindi si tratta anche di modificare la percezione stereotipata che hanno di se stessi. Tra gli altri obiettivi, spero che questo progetto possa anche fungere da spinta per la comunità di fotografi egiziani e che li possa invogliare ad apprezzare e fotografare i loro momenti di vita quotidiana e a comprendere quanto possano essere importanti. Penso che un progetto di questo tipo possa essere “emotivamente” importante per una comunità e, in cuor mio, spero che possa portare gli egiziani ad inorgoglirsi almeno un po’ del loro meraviglioso paese.
Ultima domanda: c’è un modo per contribuire al progetto?
Certamente! Ognuno può contribuire al progetto Everyday Egypt semplicemente aggiungendo l’hashtag #everydayegypt alle proprie foto su Instagram. Ogni venerdì pubblichiamo una foto dei nostri follower.
Grazie mille per l’intervista, Tinne! C’è un’ultima cosa che vuoi aggiungere?
Questo progetto ha richiesto e richiede di riporre tanta, tantissima fiducia nell’altro, anche in persone che non avevo mai incontrato prima d’ora. Bene, all’inizio ho sempre paura di fidarmi delle persone e tendo a pensare in maniera “logica” e “razionale”, nel vano tentativo di sentirmi al “sicuro.” Ma alla fine mi arrendo, mi abbandono e do la mia più piena fiducia alla gente e ho avuto la prova, più e più volte, che succedono cose meravigliose quando mi fido degli altri.
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