L’abitazione della stirpe Tjhia, simbolo del successo di un immigrato cinese

La casa della famiglia Tjhia è la testimone silenziosa del successo di un immigrato di origine cinese, per lo sviluppo economico in epoca coloniale olandese. La conformazione di questa abitazione è molto particolare, si tratta di un connubio tra le case tradizionali cinesi ed europee

di Jemy Haryanto

Questa mattina mi trovo ancora nella città di San Keuw Jong. Sento il mio corpo molto indolenzito, e sarei felice di potermi crogiolare ancora un po’ nelle coperte. Tutt’a un tratto però il mio cellulare squilla, avvisandomi che c’è un nuovo messaggio in arrivo da qualcuno.

Il messaggio proviene dalla moglie di uno dei residenti della famiglia Tjhia, Emily Zoe Hertzman, canadese. Nell’SMS scrive che la porta di casa sua è aperta per il mio arrivo, ed è pronta a parlare con me.

Senza alcuna esitazione, mi alzo immediatamente, pronto ad affrontare un’altra giornata impegnativa nel nome del giornalismo. Dopo una bella doccia mi dirigo verso l’abitazione.

La casa della stirpe Tjhia è situata nel cuore della città di San Keuw Jong, precisamente nella via di Budi Utomo, sulla riva di un fiume. L’edificio assomiglia ad un Si He Yuan, ovvero le case tipiche che si trovano nel nord della Cina, e si erge su una superficie di circa 5.366 metri quadrati, circondata da un recinto di ferro e dotata di un cancello.

Sopra l’entrata scorgo alcune scritte in caratteri cinesi difficili da comprendere, mentre subito sotto si trova una dicitura in indonesiano: ‘Kawasan Tradisonal’ (Area Tradizionale).

Nel cortile, i miei occhi si posano subito su un qualcosa di meraviglioso. È un salice, e sembra stato piantato dagli abitanti della casa. Anche se il fogliame non appare molto rigoglioso poiché ci troviamo in una zona subtropicale, la sua presenza basta ad attirare la mia attenzione poiché mi fa provare la magnifica sensazione di essere in primavera.

Mi aggiro un po’ per il cortile, godendo di quella bellissima vista dell’albero di salice. Giungo poi davanti alla porta della famiglia Tjhia, ed il mio arrivo è subito accolto calorosamente da Emily e suo marito, Chia Khun Nyian, quinto discendente della casata dei Tjhia.

Entrati in casa iniziamo a discutere della storia e del fondatore di questo edificio unico. Dai dati riportati in una scheda informativa del governo di San Keuw Jong pare che l’abitazione sia stata eretta nel 1902.

Tuttavia, secondo Emily l’anno della costruzione della casa dei Tjhia deve essere ancora determinato con chiarezza, poiché vi sono due elementi discordanti. In riferimento ad una mappa del 1887 infatti, l’abitazione della stirpe Tjhia è menzionata. Si può notare sulla cartina, sorge proprio sulla riva del fiume.

“Bisognerebbe condurre degli studi approfonditi. Ma ciò che è sicuro è che questa casa fu costruita da Chia Siu Si, un immigrato proveniente dal sud della Cina. Fece erigere questa grande abitazione con l’intento di far vivere i suoi figli tutti assieme, come un unico nucleo,” afferma la donna, allieva presso il Dipartimento di Antropologia all’Università di Toronto, in Canada.

Secondo un testo di letteratura che avevo letto prima di partire, il viaggio di Xie Shou Shi, chiamato in dialetto locale Chia Siu Si, si snodò in un percorso che dalla Cina lo portò infine alla città di San Keuw Jong.

Pare che, più di cent’anni fa, una carestia causata da calamità naturali e dallo sfruttamento della terra da parte dell’uomo colpì il paesino di Jan Mei, nel distretto di Hai Cang, un piccolo villaggio della zona costiera di Amoy, a Fujian, in Cina. Un contadino poco più che adolescente di nome Chia Siu Si non volendo morire di fame cercò di trovare una soluzione.

Decise infine di attraversare il mare, assieme ad alcuni suoi amici conterranei, verso il Sud-Est Asiatico, alla ricerca di una nuova vita per se stesso, la sua famiglia ed il suo paese natale.

Lungo la strada si fermò sulla penisola di Malaya, oggi conosciuta come Malaysia, o Malesia. Lavorò presso la casa di un ricco signore come facchino, sino a che un giorno successero dei disordini. Chia Siu Si non ebbe scelta, assieme ad alcuni altri facchini fuggì a bordo di una barca a vela, ed infine arrivò nelle acque del fiume di Singkawang, che al tempo era sotto il controllo degli olandesi.

La città di San Keuw Jong all’epoca non era altro che un piccolo borgo nel mezzo della foresta. Arrivato sul posto, pur in condizioni di grande privazione e con solo la sua fiducia, intelligenza ed etica del lavoro come capitale da investire, Chia Siu Si si impegnò lavorando i terreni inutilizzati della zona. Infine, non dovette passare molto tempo, che gli venne riconosciuto un grande successo, ed ottenne il sostegno dei compagni di etnia diversa dalla sua, e del governo olandese.

Sempre dai brani di letteratura si carpisce che Chia Siu Si riuscì a costruire un business solido grazie ai suoi sforzi sin dall’inizio. I terreni inutilizzati furono adibiti a piantagioni di gomma, di palme da cocco e di frutteti. Oltre a sviluppare queste colture dal discreto valore economico, riuscì inoltre a promuovere lo sviluppo della città di San Keuw Jong.

Incrementò infatti il reddito di tutti coloro che erano stati coinvolti nel suo business, e promosse il benessere della comunità locale in generale. Chia Siu Si decise poi di costruire una flotta, per trasportare i prodotti delle colture a Singapore, come beni d’esportazione.

Una volta che gli fu concesso un pezzo di terra dal governo coloniale olandese, Chia Siu Si fece subito arrivare un architetto da Fujian. Costruì così una grande abitazione, proprio sulle rive del fiume da cui si snodavano le sue attività commerciali.

La grande casa in cui mi trovo ora è una combinazione tra Oriente ed Occidente, con elementi delle case popolari cinesi ed europee, soprattutto olandesi. Tutte le fondamenta della casa sono costituite di un legno raro e resistentissimo, l’ironwood. Non c’è allora da stupirsi se questo edificio della famiglia Tjhia è stato in grado di sopravvivere e mantenersi intatto nel corso del tempo.

Dopo aver affidato il figlioletto in braccio al marito, Emily mi porta a vedere l’interno della casa. La grande abitazione dei Tjhia è dotata di due grandi sale sul davanti e sul retro, ricche di ornamenti, sculture e calligrafie dorate poste su ogni porta della casa.

Guardandomi in giro posso ammirare delle iscrizioni in caratteri cinesi, ed Emily mi aiuta a leggerle. La dicitura Bao Shu è appesa nel mezzo delle due grandi camere, al secondo piano. Jing Xing e Qing Yun sono iscritte sulla destra e sulla sinistra, mentre a destra e sinistra della porta del piano terra scorgo le calligrafie di Pei Lan e Yu Zhu. Anche da una parte e dall’altra della sala anteriore e posteriore sorgono diverse scritte cinesi.

Un piccolo giardino fiorito separa la grande camera di fronte da quella sul retro. Anche qui posso ammirare delle iscrizioni cinesi dorate, che si stagliano nel mezzo dell’ingresso, accompagnate da una coppia di Duilian intagliati ai due lati, con altre scritte al di sopra.

Raggiungiamo poi la stanza nella parte retrostante. Questa sala vanta un altare con le ceneri degli antenati della casata. Vi è una statua di Buddha ed altri dei, assieme alla targhetta riportante i nomi degli avi. Come per la camera anteriore, anche qui è presente un giardino sul retro, circondato da decine di camere da letto che guardano verso ovest.

È qui che sorge il luogo di riposo dei nipoti della famiglia di Chia Siu Si. Vi è un corridoio che collega tutte le camere da letto alla sala sul davanti e a quella nella parte posteriore, in modo da proteggere dal sole cocente e dalla pioggia. Ai lati del corridoio spiccano ornamenti di varie tonalità.

Secondo Emily, la costruzione anteriore, quella in cui vive oggi, è uno spazio su più livelli che un tempo era adibito ad ufficio. L’edificio principale era dedicato a ricevere ospiti, come funzionari, personaggi pubblici e uomini d’affari. Ma al giorno d’oggi la costruzione funge da sala per tenere i funerali dei membri della stirpe Tjhia.

“Per quanto riguarda questa pagoda, in passato costituiva lo stabile principale. Inoltre, è stato condotto uno studio di interior design che suppone che questo edificio fosse una sede per ricevere ospiti, circondata da sei porte che portavano ad altrettante camere,” afferma Emily.

“Chia Siu Si lasciò in eredità alla sua prole due porte ciascuno, che non potevano essere divise,” aggiunge la donna dagli occhi azzurri.

Ora, la costruzione principale è circondata da sei case in legno, che costituiscono un insediamento comunale. Queste case sono collegate l’una all’altra, formando una U che abbraccia la parte destra, sinistra ed il retro dell’edificio.

Nell’area del complesso abitativo della famiglia Tjhia sorgono quattordici case, in cui vivono dieci famiglie. Alcuni di loro sono discendenti di terzo grado della stirpe Tjhia. Vivono tutti assieme come in un piccolo borgo comunale, accomunati dalla stessa progenie.

Questo, naturalmente, attira molto la mia attenzione. Poiché raramente qui in Indonesia vi sono famiglie cinesi che vivono come in un piccolo villaggio, comunitariamente. Solitamente questa gente preferisce vivere in piccole o grandi case adibite a negozi.

Emily racconta che i discendenti di Chia Siu Si lavorano ora in vari settori. C’è chi si guadagna da vivere attraverso l’agricoltura ed il commercio, come la vendita di dolci tradizionali e così via.

“E questa casa della stirpe Tjhia ha la funzione di un luogo in cui essi possono placare i loro sentimenti di nostalgia, e che mostra loro la presenza dei propri antenati,” spiega Emily.

Attualmente la casa dei Tjhia è gestita dalla fondazione della famiglia Tjhia Hiap Seng. Quest’associazione è stata responsabile di mantenere l’abitazione ai più alti livelli di conservazione sino ad oggi.

E dopo aver bevuto un bicchiere d’acqua fresca offertomi da Emily, devo salutare con una certa impellenza la famiglia Tjhia. Perché sono pronto a riprendere il mio viaggio, verso la zona di confine tra Indonesia e Malesia.

Tag: Chia Siu Si, Indonesia, Cina, famiglia Tjhia, antenati, immigrazione, successo, vita comunitaria, San Keuw Jong.


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