Seguendo il vagabondare curioso di una ragazzina – tra mercati affollati, mattatoi, fornaci e cacciatori di pipistrelli – le vite di quattro donne narrano la durezza di nascere donna e di essere sorde in una società che è ostile dell’una e dell’altra condizione
Inner Me è un breve documentario sulle storie di Immaculée, Jemima, Sylvie e Stuka, quattro donne sorde che combattono contro la marginalizzazione nella città di Butembo nella Repubblica Democratica del Congo, un paese segnato dalla guerra.
In Congo la voce delle donne è raramente ascoltata. Vittime di una cultura di stupri sistematici, le donne spesso affrontano oppressione, discriminazione e abuso.
Essere non udenti marginalizza ulteriormente, se possibile, le donne. Chi non può sentire – e non può essere sentito – è un escluso in casa propria. La società congolese crede di solito che i sordi, così come altri diversamente abili, sono posseduti da demoni che maledicono le loro famiglie.
Con i loro occhi, e attraverso riflessioni intime, le donne hanno condiviso le loro intense storie di lotta e sopravvivenza, rivelando la bellezza presente nella resilienza dello spirito umano.
LE PROTAGONISTE
Le storie di Immaculée, Sylvie e Stuka sono storie di ogni giorno, di quotidiana fatica e di lotta contro soprusi e sopraffazioni.
Ma nella loro condizione di ultime tra gli ultimi, queste donne raccontano, anche e soprattutto, la caparbia volontà di riafferrare ogni mattina i fili incerti del loro destino.
Stuka – Ha perso gran parte della sua famiglia a causa della guerra civile. Lavora come apprendista in uno studio di sartoria e non percepisce salario in quanto sorda.
Jemima – Frequenta l’ultimo anno alla scuola per sordi di Butembo. Ha un’espressione spesso imbronciata, ma il suo sorriso è davvero contagioso.
Sylvie – Diventa sorda a all’età di quattro anni a causa di una meningite. È una madre single molto premurosa e sopravvive vendendo frutta sulle strade di Butembo.
Immaculée – All’età di sei anni diventa sorda a causa di una meningite. È una brillante studentessa. Vive nella città di Butembo.
NOTA DI REGIA – Inner Me è la nostra voce interiore. Quella voce che è così chiara dentro di noi ma così difficile da esprimere. Dentro ogni essere umano, indipendentemente dalle sue caratteristiche fisiche e caratteriali, risiede la voce del pensiero, l’Inner Me. Comunicare e creare relazioni sono necessità primarie per ognuno di noi; come regista mi sento spinto a raccontare storie che esprimano le sfide e le difficoltà che si compiono nel tentativo di comunicare agli altri il nostro mondo interiore, quello che pensiamo, quello che sentiamo e che desideriamo. Queste battaglie influenzano la nostra relazione con il mondo esterno.
I sordi in questo senso diventano il paradigma di quanto sia difficile comunicare il nostro Inner Me.
Butembo non è solo la location del film, ma è uno dei protagonisti. Non volevo fotografarla solo da un punto di vista oggettivo e documentaristico ma volevo che le storie di vita delle protagoniste fossero calate nella realtà dinamica che esse sperimentano ogni giorno. Nel Nord Kivu la strada è il luogo in cui tutto si muove, in cui tutto accade; per questo ho scelto di seguire Jemima con la macchina a spalla attraverso le strade polverose e la vita caotica di Butembo, per portare lo spettatore nel cuore vivo della cità, in mezzo alla polvere.
Durante il lavoro al mio precedente film “The Silent Chaos”, nato in origine come documentario sugli effetti della guerra civile nel Nord Kivu, sono entrato in contatto con la Comunità Sorda di Butembo, che mi ha accolto, accettato e ispirato nel raccontare la guerra civile anche attraverso le loro esperienze. Sono rimasto così colpito dal loro bisogno di comunicare e di raccontarsi che è nata in me l’esigenza di far conoscere le loro storie attraverso la loro intima prospettiva, interessandomi in particolare alla vita di quattro donne. Così è nata l’idea di un nuovo documentario, così è nata l’idea di Inner Me.
Volendo evitare fin dall’inizio l’effetto di un documentario antropologico con un punto di vista obiettivo, ho cercato di creare un rapporto di fiducia con le donne protagoniste per poterle seguire nella loro quotidianità senza soffermarmi sul racconto cronologico delle loro esperienze lavorative e personali, ma riuscendo ad entrare nella loro sfera intima, catturando il loro Inner Me, evitando che la telecamera fosse vista come un intruso.
Ogni approccio stilistico risponde alla volontà di intensificare la dimensione dell’intimità dei pensieri e di portare lo spettatore per mano dentro il loro mondo interiore. Il montaggio è caratterizzato da sequenze ritmate alternate a pause visive ed emozionali. La colonna sonora orginale non è un semplice sottofondo d’accompagnamento ma sorregge la struttura narrativa aiutando lo spettatore ad entrare dentro la narrazione.
Antonio Spano, regista – Dopo essersi laureato all’università di Siena, Antonio Spanò decide di abbandonare una carriera in legge per seguire la propria passione come regista di documentari. A 22 anni parte per il Kurdistan, Iraq, la sua prima esperienza come regista indipendente.
I suoi precedenti lavori The Silent Chaos e Animal Park , entrambi girati in Congo, sono tra i documentari italiani più premiati del 2013 e 2014. Entrambi sono sono stati distribuiti da Journeyman Pictures in esclusiva internazionale e sono stati diffusi in molti Paesi del mondo.
Antonio ha anche lavorato come cameraman in Afghanistan, Libia e Haiti per produzioni televisive, reportages e film.
Profilo dell'autore
- Dal 2011 raccontiamo il mondo dal punto di vista degli ultimi.
Dello stesso autore
- Europa3 Marzo 2024La maglia multicolore che unì basket, musica e TV per la Lituania libera dall’URSS
- Universali3 Marzo 2024Il vero significato di Bambi (e perché Hitler ne era ossessionato)
- Universali29 Febbraio 2024Hedy Lamarr, la diva di Hollywood che “concepì” Wi-Fi e Bluetooth
- Europa28 Febbraio 2024La tregua di Natale del 1914, quando la guerra si fermò per una notte