Nove consigli ai musulmani dopo essere stata a Guantanamo

di Uruj Ehsan Sheikh*

Siamo in un momento storico. Una rinnovata islamofobia è emersa nel mainstream. La retorica anti-islam dei candidati repubblicani e una recrudescenza di crimini d’odio contro i musulmani vanno avanti senza sosta. La crisi dei rifugiati siriani e iracheni continua in una spirale fuori controllo. San Bernardino, Parigi, Ankara, Baghdad e molti altri – la politicizzazione dell’Islam sta polarizzando molte persone, costringendole a prendere una posizione.

In questo contesto sono andata a Guantanamo Bay, a Cuba, con altri 13 membri di “Witnesses against torture”, un gruppo che chiede agli Stati Uniti chiudere il centro di detenzione di Guantanamo, una prigione della “Guerra al terrore” diventata sinonimo di tortura, isolamento e detenzione a tempo indeterminato.

Come musulmana pakistano-americana ho sentito la necessità di essere parte di questa delegazione al fine di contestare l’esistenza di Guantanamo; un luogo che esiste per  dei capri espiatori e per silenziare tenere le comunità musulmane collettivamente responsabili. Guantanamo, una prigione che ospita una popolazione esclusivamente musulmana, non è solo un esempio di islamofobia: rafforza e riproduce la sistematica presa di mira contro i musulmani.

Guantanamo si avvicina al suo 14° anno di esistenza e più di 100 uomini sono ancora dietro le sue sbarre. Attraverso scioperi della fame e la condivisione delle loro storie, gli uomini di Guantanamo perseguono con feroce determinazione l’ottenimento della loro libertà. Ciò ha incoraggiato la mia decisione di sfidare questa ingiustizia.

Ma i tempi sono scoraggianti per i musulmani, soprattutto per quelli vogliono cambiare la società. Questa situazione mi ha spinto a compilare un elenco di cose che mi aiutano a lavorare sulle mie stesse paure e mi responsabilizzano. Mentre continuo a protestare per la chiusura di Guantanamo.

1. Parla e incontra altri musulmani

Ho avuto la fortuna di essere stata a Guantanamo con una sorella musulmana che ha concordato come che spesso sopprimiamo la nostra realtà di musulmani per garbo. Costruire comunità attorno a esperienze e unirci intorno alla nostra identità comune crea le basi per guarire, per organizzare un cambiamento sistemico e per la sfida all’islamofobia, che sia perpetrata dallo Stato o dalla società. Il mio consiglio, quindi, è di abbracciare le vostre sorelle e fratelli musulmani e trovare un’organizzazione o costruire personalmente una comunità.

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2. L’intera comunità musulmana non è colpevole di atti di terrorismo in nome dell’Islam

Ciò resta vero anche se ci si aspetta che ci scusiamo e tracciamo una netta linea di separazione tra terrore e ortodossia musulmana. Sin dal 18° secolo la politicizzazione dell’Islam per il fine della colonizzazione ha demonizzato un’intera comunità e ci ha posto in contrasto con i colonizzatori europei. Noi siamo i nuovi eredi di questa islamofobia. Noi siamo il soggetto della realtà di qualcun altro che ci presume “innocent until proven muslim”. A volte ci sentiamo in dovere di chiedere scusa per paura di essere bersagliati. Abbiamo conosciuto bene le storie di persone delle nostra comunità prese e imprigionate a tempo indeterminato. Eppure, le scuse mantengono la narrazione islamofoba intatta e non fanno nulla per affrontare la violenza nelle sue cause profonde. Dobbiamo considerare questa strategia in tutti i nostri sforzi di advocacy attuali e futuri.

3. Focalizzati su questioni sistemiche, come la fine della guerra e il militarismo

Essere capri espiatori in quanto musulmani ci costringe a fare una scelta binaria: musulmano buono o cattivo? Entrambi gli stereotipi ci tolgono il potere di definire chi siamo e chi possiamo essere. Il nostro diritto all’autodeterminazione è soffocata. Possiamo resistere a quel binario e scegliere di provare la nostra innocenza, concentrandoci su questioni sistemiche.

4. Non sentire il bisogno di nasconderti

È spaventoso, persino alienante, intervenire quando c’è la delusione per il nostro status quo. A Guantanamo ero una delle due musulmane della delegazione ed entrambe eravamo ben consapevoli dei rischi; abbiamo dovuto lavorare sulle nostre paure per la repressione del governo e l’isolamento. Vivendolo in modo diverso, abbiamo capito che la nostra capacità di essere noi stesse totalmente è stato soffocato a causa dell’interiorizzazione dello status di subordinati impostoci. Tra le lacrime, sguardi di intesa e conversazioni a tarda notte, insieme abbiamo iniziato a superare lo scoraggiamento e la vergogna che sono il risultato di questa oppressione interiorizzata.

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5. Costruisci alleanze con altre comunità musulmane. E non musulmane.

Decenni di incarcerazioni di massa, detenzioni e deportazioni, colonizzazioni, rimozioni forzate e genocidi ci mostrano che le disparità razziali non possono essere semplicemente definite “razzismo”: fanno parte di un sistema elaborato chiamato supremazia bianca. L’islamofobia è uno dei tanti pilastri di questa sistematica oppressione razziale ed etnica. Quando cominciamo a capire che si tratta di ingiustizia istituzionalizzata piuttosto che del risultato di poche “persone”, dobbiamo fare alleanze e rendere il cambiamento possibile. La solidarietà ci rende tutti più forti.

6. Parla con i tuoi familiari delle loro esperienze con l’islamofobia

Poni domande aperte e permetti loro di condividere le loro storie senza giudicare. Cura e amore sono più forti dell’oppressione. Prima di partire per Cuba ho condiviso il mio viaggio con mia madre, terrorizzata, che ha ricordato di come è stata bersaglio dalla polizia e dei vicini di casa. Invitarla a condividere le esperienze che normalmente sopprime e assicurarle che agire per porre fine all’islamofobia in tutte le sue forme può portare il cambiamento è stato terapeutico per entrambe.

7. Pratica la cura personale e comunitaria

Crea canali per il sostegno e pretendilo. I processi di guarigione contribuiscono a fermare il ciclo della vittimizzazione.

8. Conosci i tuoi diritti e la lotta per essi, anche se sai che non verranno presi in considerazione

Le libertà civili sono un diritto umano, ma la legge è spesso elusa a favore di un programma politico. Conoscere la legge ed i nostri diritti rispetto alle forze dell’ordine quando si agisce socialmente è importante per mantenere noi e la nostra comunità sicuri.

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9. Definisciti

Non aver paura di chiamare te stesso un attivista o un membro di un’organizzazione, e non aver paura di opporti alle definizioni. Dire che cambiamento è possibile e muoverti verso l’inserimento di te stesso nella narrazione fornisce ispirazione e una rete di sicurezza agli altri musulmani che allo stesso modo chiedono giustizia.

Non c’è niente di nuovo in un gruppo di musulmani che resistono all’islamofobia e lavorano in coalizione verso la pace e la giustizia. Ed è importante ricordarlo. Veniamo da una umanità che dice la verità di fronte all’oppressione. Mentre continuo a battermi per la chiusura di Guantanamo e la fine dell’oppressione di tutte le persone, spero che la mia famiglia musulmana accolga la chiamata a fare un cambiamento verso una società democratica.

*Uruj Sheikh è membro di Witnesses against torture, una comunità di attivisti che utilizza l’azione diretta nonviolenta per chiudere il centro di detenzione di Guantanamo e abrogare la tortura. Lavora al War Resisters League di New York ed è membro dell’Organization for a Free Society.

Su gentile concessione di Muslimmatters.org

 


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