di Alessandro Pagano Dritto
(Twitter: @paganodritto)
La recente questione della base militare siciliana di Sigonella dalla quale potrebbero partire, con dei limiti, droni statunitensi da usare in operazioni contro lo Stato Islamico in Libia e in tutto il Nord Africa, segue di pochissimi giorni il terzo bombardamento condotto dagli Stati Uniti in Libia negli ultimi due anni. Benché Washington ne abbia subito rivendicato la paternità, non sono mancate nella vicenda reticenze, da un lato, ma anche possibili rivelazioni sulla strategia federale contro la formazione terroristica libica.
(*Immagine di copertina: effetti dei bombardamenti occorsi vicino Sabratha il 19 febbraio 2016. Fonte: Sabratha Municipality Media Office via Reuters)
Al momento di scrivere questo articolo, le ultime notizie dicono che la questione dovrebbe essere portata in parlamento, dove il governo dovrebbe essere interrogato sulla concessione della base militare siciliana di Sigonella per l’utilizzo di droni statunitensi.
Italia, Stati Uniti e Libia: la questione della base militare di Sigonella e dei droni statunitensi.
Sulla faccenda, di ufficiale, si sa ancora poco, essendo stata svelata in esclusiva dal Wall Street
Journal – articolo a firma di Gordon Lubold e Julian Barnes – solo nella serata del 22 febbraio 2016. Secondo quanto raccolto dai due giornalisti, che si sono basati su fonti anonime della Difesa statunitense, già da un mese – quindi dalla fine di gennaio – l’Italia avrebbe concesso l’utilizzo della base per l’invio di droni statunitensi in Nord Africa e in Libia contro lo Stato Islamico. Sembrerebbe che l’Italia abbia però concesso l’uso solamente per missioni difensive – «per proteggere le forze per operazioni speciali statunitensi in Libia», come riassume il sito d’informazione – mentre gli Stati Uniti vorrebbero ampliare la concessione anche per missioni offensive. Le contrattazioni sarebbero iniziate un anno fa.
Il giorno dopo la notizia, il governo italiano non sembra ancora aver emesso comunicati ufficiali sulla faccenda, anche se non sono mancate singole dichiarazioni da parte del Primo Ministro Matteo Renzi e del Ministro degli Esteri Paolo Gentiloni. Il documento più importante fino ad ora prodotto è però un’intervista rilasciata a Marco Ventura del Messaggero dalla Ministra della Difesa Roberta Pinotti, nella quale si legge che «finora i droni non hanno mai agito in operazioni armate e non c’è stata alcuna richiesta in merito». La Ministra fa poi intendere che la concessione non deve essere considerata l’inizio di un atto di guerra di un solo paese – gli Stati Uniti, appunto – nel panorama libico, perché gli alleati agiscono di concordo e, sottolinea ancora l’intervistata, mai senza il coinvolgimento dell’Italia.
19 febbraio 2016, gli Stati Uniti bombardano vicino Sabratha: silenzi e reticenze.
Un interessante confronto con quanto fin qui emerso sulla questione dei droni statunitensi a Sigonella potrebbe essere, seppure a posteriori, il bombardamento statunitense che ha avuto luogo nei pressi di Sabratha, Libia, il 19 febbraio 2016.
Differentemente da quanto successo agli inizi del mese per la città di Derna, Libia orientale, il 19 febbraio gli Stati Uniti hanno quasi subito rivendicato la paternità dell’episodio, che si è svolto lungo la costa della Libia occidentale sottoposta al controllo politico delle autorità internazionalmente non riconosciute di Tripoli.
[Per approfondire sui bombardamenti di Derna di inizio febbraio: Cronache libiche, Libia, due bombardamenti in due giorni a Derna, 8 febbraio 2016]
Nemmeno in quell’occasione vi furono, almeno da parte italiana, comunicati ufficiali sulla questione, segno possibile – anche e forse soprattutto col senno di poi – che in qualche modo l’evento fosse noto almeno ai paesi più coinvolti nello scenario libico: non così, parrebbe, per uno Stato come la Serbia, che ha accusato gli Stati Uniti di avere provocato la morte di due componenti del proprio staff diplomatico rapiti qualche mese prima e tenuti ostaggio proprio nel sito bombardato. Fino ad adesso gli Stati Uniti hanno dimostrato di prendere atto di queste morti, ma hanno negato di aver avuto prove di una loro presenza nel sito al momento del bombardamento, nonostante lo stesso fosse rimasto sotto sorveglianza per settimane prima che lo stesso presidente Barack Obama, su proposta della propria segreteria, autorizzasse l’azione.
Più che nei comunicati ufficiali, una parte di queste informazioni le si possono ritrovare in un’interessante conferenza stampa tenuta il giorno stesso dei fatti dal portavoce del Dipartimento della Difesa statunitense Peter Cook. Quella di Cook appare per la verità come una presentazione abbastanza reticente, molto abbottonata su alcuni precisi punti nonostante le insistenze dei giornalisti presenti. Cook ha infatti in gran parte rifiutato di esprimersi in dettaglio su questioni come la partecipazioni di eventuali alleati all’operazione, i mezzi utilizzati nella stessa, i non meglio definiti «interessi nazionali di sicurezza» che avrebbero spinto Washington a colpire la costa libica. Dalle dichiarazioni di Cook si viene solamente a sapere che il Regno Unito avrebbe fornito le basi necessarie al supporto logistico e che sarebbero stati utilizzati «mezzi con e senza equipaggio»; dichiarazione, quest’ultima, che a leggere il testo dell’intera conferenza sembra essere stata strappata a forza di domande da giornalisti insistenti.
Riporta il Guardian che il Segretario della Difesa britannico Michael Fallon ha confermato la concessione delle basi, ma per sapere esattamente quali queste potrebbero essere ci si deve affidare ancora una volta alla stampa statunitense: è dunque il New York Times, articolo a firma di Declan Walsh Ben Hubbard e Eric Schmitt, a proporre, ancora una volta ufficiosamente, il nome della base di Lakenheath, contea del Suffolk, Inghilterra orientale, a Nord Est di Londra. Da qui sarebbero partiti – ma la sigla precisa si deve ancora una volta ai soli Ben Hubbard e Schmitt – un numero non precisato di F15E che, integrando con le dichiarazioni ufficiali di Cook, potrebbero costituire i mezzi dotati di equipaggio.
Un coinvolgimento italiano?
Rimangono i mezzi privi di equipaggio e il richiamo ai droni qui, soprattutto a posteriori, rimane
forte. Subito dopo gli eventi erano risultate, nell’opinione pubblica libica, alcune voci di coinvolgimenti dell’Italia: naturalmente ufficiose anche queste, visto il già citato silenzio romano in merito ai fatti di Sabratha, cittadina di un paese nel quale al momento gli Stati Uniti – dichiara la Ministra Pinotti «se ci fosse la necessità [di una decisione operativa] ce lo direbbero. Non solo, ma dovrebbero discutere con noi la strategia complessiva».
Su Twitter aveva chiamato in causa l’Italia l’analista libico Mohamed Eljarh, sostenendo di aver preso visione di alcuni report che indicavano l’Italia come la proprietaria di supposti droni utilizzati nel bombardamento statunitense.
#Libya – US air strike on #ISIS in #Libya‘s Sabratha west of Tripoli was supported by the UK & Italy. UK with bases & Italy with drones.
— Mohamed Eljarh (@Eljarh) 20 Febbraio 2016
La giornalista italiana Francesca Mannocchi aveva invece consultato «fonti militari in Italia» e libiche della parte di Tripoli che avevano confermato la presenza di altri siti dello Stato Islamico nell’area bombardato; segno probabile, questo, che l’Italia comincia ad avere, se non ha addirittura già, un’effettiva conoscenza del territorio a livello di intelligence e che, almeno nel caso specifico, questa conoscenza potrebbe coincidere con quella delle milizie del luogo.
Military sources in Italy told me there are two #Isis training camps in #Sabratha #Libya
— francesca mannocchi (@mannocchia) 19 Febbraio 2016
Rada special forces in Tripoli confirmed me their Isis prisoners revealed in Sabratha there are at least two #Isis training camps. #libya
— francesca mannocchi (@mannocchia) 19 Febbraio 2016
La domanda che si poneva spontanea sul ruolo dell’Italia nel bombardamento statunitense e sulla sua relazione coi droni riceveva una prima risposta apparentemente negativa, sebbene ancora ufficiosa, dapprima con l’articolo del Wall Street Journal, che parlava di operazioni difensive, poi con alcune voci ancora anonime che in tarda serata giungevano all’Agenzia Giornalistica Italiana (AGI) dal Ministero della Difesa e poi con l’intervista alla Ministra Roberta Pinotti che confermava il carattere difensivo delle operazioni e anzi sottolineava che ancora nessuna invio di droni era stato effettuato dalla base di Sigonella.
Stati Uniti e Stato Islamico libico: una strategia individualista.
Un’ultima questione aperta dai bombardamenti statunitensi, oltre al coinvolgimento accertato
britannico e quello italiano apparentemente smentito, riguarda la strategia di Washington nei confronti dello Stato Islamico libico.
Questo di febbraio è il terzo bombardamento che Washington, nel giro di due anni, intraprende in Libia contro formazioni riconosciute come terroristiche, il secondo contro lo Stato Islamico: il primo, nell’estate del 2015, pare non aveesse avuto successo nell’eliminare il leader di Al Qaeda in the Islamic Maghreb Mokhtar Belmokhtar (Al Qaeda nel Maghreb Islamico, AQMI), individuato durante un vertice nei dintorni della cittadina di Ajdabiya, mentre il secondo, questa volta contro la formazione di origine siro-irachena, il successivo novembre sarebbe riuscito nell’intento di uccidere il leader Abu Nabil al Anbari.
Per questo terzo bombardamento dall’esito ancora ignoto, sin dal comunicato di presentazione gli Stati Uniti hanno chiarito che obiettivo maggiore dell’azione sarebbe stato Noureddine Chouchane “Sadir”, possibile figura di rilievo dello Stato Islamico libico e possibile responsabile dei collegamenti con le cellule nere operative oltre confine in Tunisia. Secondo quanto si apprende, le autorità tunisine riterrebbero Chouchane uno degli organizzatori dei due attentati che attirarono nel 2015 l’opinione pubblica internazionale: quello del Museo del Bardo a Tunisi in marzo e quello del resort di Sousse nel giugno successivo. Non è appunto chiaro se Chouchane sia effettivamente morto nel bombardamento, anche se Peter Cook si è dimostrato, sul punto specifico, ottimista. Con Chouchane gli Stati Uniti dicono di aver colpito un centro di addestramento e il conto delle vittime dovrebbe ormai aver raggiunto la cinquantina: «per quel che riguarda il quadro più grande in Libia, noi continuiamo a monitorare lo Stato Islamico come una minaccia all’interno del paese, i movimenti dei combattenti. Non credo che qualcosa sia cambiato drasticamente su questo fronte dalla nostra prospettiva, ma lo stiamo guardando da molto vicino, come abbiamo indicato da qualche tempo», ha riferito il portavoce della Difesa d’oltre oceano.
Dunque il bombardamento di Sabratha si pone in una prospettiva individualista, verrebbe da dire quasi poliziesca, di raggiungimento ed eliminazione della singola individualità e sarebbe sbagliato ritenere l’azione come l’apertura di un vero e proprio fronte di guerra più complesso: al di là delle singole individualità, gli Stati Uniti parteciperanno alle azioni contro lo Stato Islamico «coniugandoci coi nostri partner nella regione».
Una strategia non complessiva che il governo fa propria ma che non sembra piacere né ad alcuni ambienti della stessa Difesa la cui voce, ancora una volta anonima, è stata raccolta dalla giornalista del Daily Beast Nancy Youssef, né allo stesso Congresso statunitense, il cui presidente repubblicano Paul Ryan ha criticato Obama, in una prospettiva più generale di lotta allo Stato Islamico nel mondo, di non aver presentato il piano strategico previsto per lo scorso 15 febbraio. «Speriamo che i bombardamenti di oggi segnino, da parte dell’amministrazione Obama, l’inizio di un nuovo approccio – ha detto a Thomas Watkins della Agence France-Presse David Nunes, presidente repubblicano della Commissione congressuale sull’Intelligence – che metta la Libia al centro di una strategia comprensiva di sconfitta del jihadismo internazionale». Ma è probabile che, proprio in Libia, non siano queste le intenzioni del presidente.
Profilo dell'autore
- Il primo amore è stato la letteratura, leggo e scrivo da che ne ho memoria. Poi sono arrivati la storia e il mondo, con la loro infinita varietà e con le loro infinite diversità. Gli eventi del 2011 mi lasciano innamorato della Libia: da allora ne seguo il dopoguerra e le persone che lo vivono, cercando di capire questo Paese e la sua strada.
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